“Gli avvoltoi hanno fame” era il titolo di un film western degli anni Settanta. Si applica però anche alla situazione che attualmente sta vivendo l’Argentina, il cui debito estero, a seguito del default del 2001, è finito in mano ad alcuni cosiddetti Fondi avvoltoi (vulture funds o fundos buitre), il peggiore gruppo di finanza internazionale. L’analogia è valida fino a un certo punto, dato che gli avvoltoi si cibano in genere di carogne, mentre questi fondi avvoltoi vorrebbero banchettare a spese di gente viva e vegeta.

E’ noto come l’ingente debito estero si sia formato, a suo tempo, a causa delle spese folli della dittatura militare, incentivate e favorite dalla complicità del Fondo monetario internazionale, in armonia del resto con i voti del governo statunitense, principale controllore da sempre di tale Fondo, e allora molto interessato a garantire la stabilità ad ogni costo dei carnefici in divisa, in Argentina come altrove.

In un intervento di qualche tempo fa ho sostenuto che il governo argentino dovrebbe chiedere al Fondo monetario internazionale i danni per tali politiche, che hanno determinato non solo l’ingente debito estero che tuttora grave sul Paese, ma anche trentamila desaparecidos. Tale scelta si inserirebbe del resto in una politica di crescente contestazione e dissociazione dalle scelte del Fondo di vari Stati. E’ del resto a tutti evidente come da un lato i meccanismi di votazione dello stesso non siano conformi ai nuovi rapporti economici esistenti in seno alla comunità internazionale, e dall’altro le sue politiche siano chiaramente inadeguate a fronte della grave crisi economica e finanziaria in atto oramai da oltre cinque anni.

Il fatto nuovo di questi ultimi giorni è peraltro costituito dalla prevedibile decisione della Corte suprema degli Stati Uniti di respingere l’appello del governo argentino contro quella di una giurisdizione statunitense minore che lo condannava a pagare ben 1330 milioni di dollari agli avvoltoi.

Questa decisione, che come si sapeva è favorevole agli speculatori, spiazza di molto la strategia di rinegoziazione del debito portata avanti dal governo argentino, che aveva di recente raggiunto un accordo con il cosiddetto Club di Parigi, organizzazione che rappresenta i creditori pubblici. A questo punto, come sottolineato dall’economista argentino Abraham Gak, la sola opzione possibile è quella di disobbedire, rifiutandosi di pagare il debito.

Il rifiuto di pagare il debito, assumendo in modo chiaro una posizione politica e giuridica di alto livello e dignità morale, costituisce sempre di più l’unica alternativa possibile allo smantellamento degli Stati, degli apparati pubblici e alla fine della convivenza civile che conseguirà inevitabilmente all’accettazione dei sempre più esosi diktat e ricatti della finanza, spalleggiata da giudici e politici corrotti o comunque solidali da un punto di vista di classe con le richieste dell’uno per cento di privilegiati che approfitta delle risorse di questo pianeta.

Il discorso non riguarda ovviamente solo l’Argentina, ma oramai praticamente tutti gli Stati, a cominciare da quelli europei come Grecia, Portogallo, Spagna, Italia ed altri.

Esistono al riguardo precise basi normative che ho cominciato ad esplorare nel mio libro Il debito estero dei Paesi in via di sviluppo nel diritto internazionale, che risale a dieci anni fa. Fra di esse lo stato di necessità, la primazia dei diritti umani, il diritto di autodeterminazione, il divieto dell’usura, la forza maggiore e altri istituti e principi giuridici.

Naturale che gli ignorantissimi e ultramiopi individui che operano le scelte che contano facciano le orecchie da mercante (anzi da banchiere) di fronte a tali ipotesi, che semplicemente puntano a ridimensionare la finanza, la cui natura speculativa e parassitaria venne riconosciuta già molti anni fa da un economista come John Maynard Keynes. Eppure qualcosa si sta muovendo, se è vero che proposte sulla riduzione del debito sono state recentemente formulate anche da economiste mainstream come Lucrezia Reichlin.

Autoridurre i debiti, sospendere i pagamenti è il modo migliore che gli Stati hanno per porre la questione del debito nei fori internazionali. Sarebbe opportuno che lo facessero al più presto e in modo coordinato fra di loro. Si tratta infatti di questione che riguarda la loro stessa sopravvivenza. E quella di noi cittadini ovviamente anche.

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