Mi avvio alla maxi-udienza preliminare da cui dipenderà l’avvio del processo Ilva. Mentre preparo lo zainetto, mi viene in mente il giorno in cui mi recai in Procura per denunciare la presenza di diossina nel formaggio.
Tutto comincia da lì. Era il 27 febbraio 2008, una giornata di sole. Avevo nella borsa le analisi sulla diossina. Con me c’era Piero, ex operaio Ilva. Facciamo le scale e siamo dal Procuratore Franco Sebastio. Conosco Piero da tempo. Lui aveva scovato il “pecorino alla diossina”. E’ ormai l’ecosentinella più preziosa di Taranto. Nel 2008 aveva individuato con precisione il gregge di pecore e capre che pascolava attorno all’Ilva.
Quel formaggio lo facemmo analizzare nel laboratorio Inca di Lecce, uno dei pochissimi attrezzati a cercare la diossina. Le pecore e le capre – dal cui latte era derivato quel formaggio – erano di un pastore che Piero conosceva. Pecore alla diossina. Non solo. In quel pastore era già attecchito un devastante cancro al cervello, e da lì a poco sarebbe finito sulla sedia a rotelle. Ora è morto.
Il chimico che mi comunicò i dati del “pecorino alla diossina” mi disse: “Quel pecorino contiene tanta diossina che, se lo grattugiate in un campo, il terreno andrebbe bonificato”. Quel formaggio lo abbiamo anche fotografato e ora è immortalato su PeaceLink.
Torniamo a quel giorno dell’esposto in Procura. Quel giorno Piero ed io, firmando un semplice esposto a nome di PeaceLink, stavamo compiendo, senza averne piena coscienza, la mossa decisiva che avrebbe fatto scattare prima i controlli sulle masserie, poi l’accertamento della presenza di diossina, quindi l’abbattimento degli ovini contaminati, e infine le indagini vere e proprie della Procura per rintracciare l'”autore del reato”.
Ma prima di PeaceLink nessuno aveva cercato la diossina negli alimenti?
Sembra incredibile, ma negli anni precedenti erano stati svolti accertamenti sulla presenza di diossina e Pcb negli alimenti a Taranto, ma nessun campione sforava i limiti di legge. Gli esiti delle analisi Pnr (Piano Nazionale Residui) e Pnaa (Piano Nazionale Alimentazione Animali) negli anni 2002-2007 avevano dato sempre “esito conforme”. Dal 16 ottobre 2002 al 23 maggio 2007 presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Puglia e Basilicata, con sede a Foggia, erano arrivati campioni di orate e spigole tarantine, latte, uova di gallina, muscolo bovino, mitili e altro ancora proveniente dalla città contaminata dalla diossina. Ma tutto era a norma.
Tutto regolare per la Regione Puglia e per lo Stato, quindi. Finché Piero non trova quel pecorino. E scoppia il finimondo.
Questa storia è stata raccontata anche in un libro a fumetti ideato da Carlo Gubitosa e nella cui prefazione racconto nel dettaglio queste cose.
Quello che state leggendo è il riepilogo di una città da sacrificare. Una città usa e getta, con abitanti usa e getta. Una città dove questi controlli decisivi li hanno dovuti fare i cittadini a loro spese.
Un’intera città da anni era al centro di mastodontici proclami (“città ad alto rischio di crisi ambientale”) e di cospicui finanziamenti per controlli di ogni genere. Doveva finire sotto una lente di ingrandimento per monitorarla da cima a fondo. Ma a trovare il bandolo della matassa non è stato uno dei tanti esperti con curriculum e pubblicazioni internazionali. E’ stato un semplice operaio con la terza media che conosceva il posto giusto e il pastore giusto dove andare a prendere il pecorino. Piero sapeva dove cercare, ed era particolarmente motivato dopo aver scoperto che lui, proprio lui, aveva per anni lavorato nell’impianto dove si forma la diossina. Ossia nell’impianto di sinterizzazione dove sorge il camino E-312 dell’Ilva, alto oltre 200 metri.
Piero aveva camminato sulle polveri rosa, finissime, che contenevano diossina. Nessuno parlava, nessuno sapeva, neppure lui. Quando tornava a casa, dopo la doccia in Ilva, doveva nuovamente fare la doccia, e quando andava a letto le lenzuola bianche si macchiavano ugualmente di rosa.
Oggi è la giornata dell’ex-operaio Piero, oggi è il giorno della sua rivincita.