Meno sindaci e più funzioni. Si fanno di giorno in giorno più definiti i contorni del nuovo Senato che sta emergendo dagli emendamenti messi a punto dai relatori Roberto Calderoli e Anna Finocchiaro. La nuova assemblea frutto delle serrate trattative delle ultime settimane avrà competenza sulla legislazione regionale e su quella europea, avrà la funzione di co-eleggere il Capo dello Stato, il Consiglio Superiore della Magistratura e i giudici della Corte Costituzionale, e potrà anche esprimersi sulle leggi elettorali e costituzionali. Lo scrive il quotidiano La Repubblica.
Un aumento di funzioni cui fa da contraltare la diminuzione del numero di sindaci che entreranno a far parte dell’assemblea: l’idea di Matteo Renzi – scrive Repubblica – era quella dio avere un terzo dell’assemblea composta da primi cittadini e due terzi da consiglieri regionali, ma Forza Italia sarebbe riuscita a portare a casa la quota di un sindaco per ogni regione. Il risultato: le proporzioni si avvicinano ad un quarto di primi cittadini, che saranno in tutto una ventina, e tre quarti di rappresentanti delle Regioni. Tornano a far capolino anche i senatori nominati dal Colle e scelti nella società civile.
La conferenza stampa tenuta ieri da Silvio Berlusconi e l’annuncio del ministro Maria Elena Boschi dell’incontro di oggi con il forzista Paolo Romani danno l’idea che l’intesa sia davvero vicina. L’ex cavaliere è tornato a parlare di presidenzialismo, ma ha anche specificato che l’elezione diretta del Capo dello Stato non è una condizione essenziale per arrivare all’accordo definitivo. Tra gli ultimi dettagli da limare, la questione della rappresentanza politica delle minoranze regionali: poiché ogni Regione ha una legge elettorale che penalizza le minoranze, occorre trovare un modo per far sì che queste ultime siano adeguatamente rappresentate nel futuro Senato. La soluzione suggerita da Calderoli pare in vantaggio sulle altre: i consiglieri regionali dovranno avere una scheda con un numero di opzioni inferiore a quello dei senatori da mandare a Roma. Così, è il ragionamento, anche le opposizioni potranno avere i loro rappresentanti ponderati sul voto reale preso in Regione.
Nell’entourage renziano si rafforza una convinzione: il pugno duro tenuto con i dissidenti ha pagato e ora il miracolo pare possibile: arrivare al voto a Palazzo Madama entro la pausa estiva. Le promesse iniziali non sono state rispettate (“Entro il 25 maggio dobbiamo arrivare al superamento del bicameralismo”, diceva Renzi il 12 aprile), ora l’obiettivo è rispettare la scadenza riportata nel Def: “settembre 2014”. Intanto bisogna arrivare al voto finale in commissione entro il 2 luglio, per poi pensare all’Italicum, che il premier vorrebbe veder approvato prima della pausa.
Ma non tutti sono d’accordo. “L’accordo non c’è”, il testo base della riforma del Senato presentato dal governo “è una riformetta che non serve a granché, produce più problemi di quanti ne risolva e certamente non fa risparmiare nulla”. Ne è convinto Renato Brunetta, presidente dei deputati di Forza Italia, intervistato da Repubblica. “Io vedo ancora tensioni – aggiunge – tra maggioranza e opposizione e soprattutto dentro la maggioranza e il Partito democratico. Il 3 luglio è un termine non obbligatorio, bisogna vedere se il lavoro in commissione fila liscio”. Berlusconi, prosegue, “non ha mai detto” che si è impegnato a rispettare il patto del Nazareno: “Ha detto che ci sono dei punti da definire”. Brunetta voterebbe la riforma “dell’ordine del giorno Calderoli” che prevede un Senato elettivo. “I problemi che abbiamo oggi – sottolinea – non dipendono dal bicameralismo. Se il governo mette la fiducia, in pochi mesi, più di una decina di volte è perché ha problemi dentro la maggioranza. E il bicameralismo spesso salva situazioni pericolose. Penso a Renzi che annuncia il cambiamento della responsabilità civile dei giudici al Senato”. “Il patto del Nazareno lo rispettiamo se i contenuti sono buoni. Oggi abbiamo tutto il diritto di non essere d’accordo con il testo base del governo. Se cambia, valuteremo“.