A quattro giorni dal primo anniversario della condanna per concussione e prostituzione minorile (7 anni e interdizione perpetua) Silvio Berlusconi – affidato ai servizi sociali per scontare la pena residua per il processo Mediaset – venerdì 20 giugno dovrà vestire nuovamente gli abiti dell’imputato nel giudizio di appello per il caso Ruby.
Sarà l’avvocato Franco Coppi – come conferma al fattoquotidiano.it – con Filippo Dinacci, a difendere l’ex Cavaliere nel giudizio davanti ai magistrati della II corte d’Appello Milano presieduta da Enrico Tranfa. Il professor Coppi – già “reclutato” in Cassazione per discutere il ricorso per il processo sui diritti televisivi – entra così di nuovo a far parte del pool dei legali dell’ex premier al posto degli avvocati Niccolò Ghedini e Piero Longo che, essendo indagati nell’inchiesta Ruby ter, per una questione di opportunità non saranno in aula. “Sì ci sarò io – spiega l’avvocato con la solita ironia – a meno che il mio clienti non revochi il mandato”.
Al momento non pare in programma alcuna istanza di rimessione del processo – sulla falsariga di quanto è accaduto in primo grado per il procedimento a carico di Guido Podestà – essendo proprio il fascicolo Ruby uno di quelli alla base dello scontro tra il Procuratore della Repubblica di Milano Edmondo Bruti Liberati e l’aggiunto Alfredo Robledo. L’avvocato non ha depositato alcuna integrazione rispetto al ricorso di gennaio, presentato da Ghedini e Longo. “Ci batteremo per ottenere l’assoluzione . Non mi sento di anticipare i temi della difesa per rispetto della corte – dice Coppi -. Ascolterò la relazione e il procuratore generale e poi deciderò temi, argomenti e taglio. Comunque sono pronto a discutere subito”.
La difesa aveva depositato infatti, a gennaio, un ricorso di quasi 450 pagine per spiegare ai giudici di secondo grado che l’ex premier non ha mai compiuto ”atti sessuali a pagamento” con l’allora 17enne Karima El Mahroug come invece stabilito dai giudici di primo grado, e per sostenere che i soldi che le ha dato erano solo un ”aiuto economico a un soggetto in difficoltà” e che quando l’allora premier telefonò in Questura fu per una ”mera richiesta di informazioni”, mentre l’allora consigliera regionale Nicole Minetti (poi condannata in primo grado insieme a Lele Mora ed Emilio Fede) venne inviata solo ”per agevolare l’identificazione” della ragazza, che lui credeva davvero fosse la nipote di Mubarak.
Nell’impugnazione non solo si contesta nel merito, punto per punto, le accuse che hanno portato alla condanna, ma si lamenta anche il fatto che al leader di Forza Italia non siano state concesse le attenuanti, malgrado il ‘peso’ politico che ha avuto negli ultimi vent’anni. E anche ”l’eta’ dell’imputato, che ha compiuto 77 anni” è una circostanza ”di altissimo pregio ai fini sia della quantificazione della pena finale sia della concessione delle attenuanti generiche”. Passando alle contestazioni, secondo la difesa, ”non vi è alcuna prova agli atti che” Ruby (tutti erano ”convinti” che fosse maggiorenne) ”sia stata destinataria di ingenti somme di denaro, salvo quelle accertate nel processo con causale di mera liberalità a titolo di aiuto”. Soldi che, secondo i difensori, non sono certo serviti ”per ‘comprare la teste’, nemmeno con la ipotizzata ma non provata promessa di ricompensa per fare la pazza”.
Anche per quanto riguarda noto misterioso incontro-interrogatorio, datato 6 ottobre 2010, tra l’avvocato Luca Giuliante e la giovane marocchina ”non risulta affatto né per prova diretta né per prova indiretta che l’imputato si sia attivato per attuare il supposto inquinamento delle prove”. E l’ipotesi che Ruby ”abbia mentito” negando i rapporti sessuali con l’ex premier “è fondata su mere illazioni non supportate da validi elementi di prova”. In più la condanna per concussione per costrizione ”si dimostra del tutto sconnessa dalla realtà probatoria e non trova nessun riscontro nelle dichiarazioni rese a dibattimento dai funzionari di Polizia”.
Il Tribunale anzi, secondo la difesa, sul punto ”si improvvisa più che psicologo quasi veggente andando ben oltre le dichiarazioni di Ostuni (capo di gabinetto della Questura di Milano, ndr) e affermando che la prova della costrizione si rileva nella certezza che il funzionario si sarebbe sentito” costretto a rilasciare la ragazza dopo la telefonata dell’ex premier.
Si aprirà invece il prossimo 15 luglio a Milano il processo di secondo grado nel quale sono imputati Lele Mora, Emilio Fede, Nicole Minetti. Il dibattimento prenderà il via a un anno di distanza dalla sentenza con cui il Tribunale aveva inflitto 7 anni al’ex talent scout e all’ex direttore del TG4 e 5 anni all’ex consigliere regionale. A celebrare il processo sarà la terza corte d’appello di Milano, presieduta da Arturo Soprano, lo stesso giudice del collegio che decise l’interdizione dai pubblici uffici di due anni per Berlusconi per la vicenda Mediaset. Il dibattimento, si presume, dopo l’udienza del 15 luglio, dovrebbe essere rinviato a settembre, a causa della sospensione feriale dell’attività.