Buenos Aires gela le speranze dei creditori e torna ad agitare lo spettro di una nuova bancarotta. Il ministero dell’Economia ha infatti avvertito che il 30 giugno il Paese non sarà in grado di pagare quanto dovuto ai possessori di bond che hanno accettato il concambio, cioè la ristrutturazione del debito dopo il default del 2001-2002. Tutto nasce dalla sentenza della Corte suprema Usa che ha imposto alla Casa Rosada di rimborsare 1,33 miliardi di dollari ai fondi speculativi titolari di bond e non firmatari degli accordi sul concambio. L’Argentina, hanno stabilito le toghe Usa, non potrà pagare le cedole sui titoli ristrutturati a meno che non paghi simultaneamente anche la totalità di quanto richiesto dagli hedge fund. Cosa che, secondo il governo, comporterebbe un esborso complessivo di 15 miliardi di dollari.
Dopo la dura reazione a caldo della presidenta Cristina Kirchner, mercoledì gli avvocati del governo avevano aperto alla possibilità di una trattativa con gli hedge fund. Ma a poche ore di distanza, giovedì mattina, è arrivata una nuova doccia gelata sotto forma di una nota del ministero da Alex Kicillof. Secondo la quale il governo non rispetterà la scadenza di fine mese nei confronti degli investitori che hanno in portafoglio bond con scadenza 2033 denominati in dollari, euro e yen.
Gli analisti di JpMorgan gettano acqua sul fuoco, scrivendo in un report sul Paese che la minaccia di default potrebbe essere una mera tattica negoziale. Messa in campo con l’obiettivo di ritardare il rispetto della sentenza o mettere i fondi hedge che non hanno accettato il concambio in una posizione più debole. Ma la situazione rimane incandescente. Tanto più che l’hedge fund Elliott Management, uno dei creditori “dissidenti”, ha appena chiesto alla giustizia americana di rendere esecutivo l’ordine della Corte permettendogli di rifarsi sulle proprietà che l’Argentina detiene in territorio Usa. In particolare la sua controllata Nml, attraverso la quale era stato intentato il ricorso contro Buenos Aires, punta a ottenere informazioni dalle aziende energetiche americane che hanno legami commerciali con la Yacimientos Petrolíferos Fiscales, compagnia statale del petrolio e del gas.
Intanto alzano la voce anche i 50mila italiani possessori di bond argentini che sono impegnati in questi giorni nella fase finale di un arbitrato davanti al tribunale della Banca Mondiale. La Task Force Argentina (Tfa), costituita nel 2002 da otto banche italiane per rappresentare i creditori nelle sedi di negoziazione, ha chiesto al Paese di avviare trattative e cercare un accordo con tutti i creditori, inclusi gli italiani. “L’Argentina è ora chiamata a far fronte alle sue responsabilità. Se non lo facesse si troverebbe a far fronte a un default tecnico e a difficoltà nell’accedere al mercato dei capitali”, si legge nel comunicato della Tfa. Secondo il quale, comunque, la decisione della Corte Suprema americana lascia inalterati i diritti dei titolari di bond italiani.