A proposito dell’omicidio di Yara e della strage di famiglia nel Milanese. Di Massimo Bossetti e di Carlo Lissi. Di Brembate e di Motta Visconti. Della periferia residenziale dell’Italia e del centro evenemenziale televisivo. Di un muratore sempre accigliato e torvo e di un impiegato hi-tech con un sorriso perennemente spianato, tirato allo spasimo. Ce lo dice Facebook. La tv, del dolore e/o di servizio, insegue. Facile oggi trasformarsi in nuovi Sherlock Holmes e Tom Ponzi, ai tempi di Csi, delle indagini genetiche e dei processi soltanto indiziari. Da un post ambiguo, un selfie aggressivo, l’iscrizione a un gruppo strano in cui magari ti hanno aggiunto e tu nemmeno te n’eri accorto, ecco ricostruito, senza ombra di dubbio, senz’Appello e senza Cassazione, il profilo psicologico e social-networkologico dell’assassino. E l’estate è appena iniziata.
E’ come se la preoccupazione massima fosse ormai rivolta all’indagine in proprio, minuziosa, paranoica e a tratti quasi paranormale, sulla rete di affetti più vicini e prossimi al carnefice, o presunto tale. Spettatori attivi degli atroci drammi di famiglia o di piccole comunità, leader della cronaca nera estiva, trasfiguriamo la soap-opera di massa a mezzo wi-fi, nella vita reale. Tutte le piccole mancanze e negligenze del quotidiano così diventano prove grosse come macigni a carico del Mostro. O presunto tale. A meno che l’Orco della giornata, della settimana o del mese non sia davvero un volto familiare, un vicino di casa alla vecchia maniera; in questi casi, al contrario si cade dalle nuvole. Ma come, proprio lui! Era tanto una brava persona. La sua era una famiglia modello.
Dunque: se un padre di famiglia pianifica lucidamente un massacro allucinante, che farebbe impallidire Quentin Tarantino e Robert Rodriguez e tutti gli epigoni del cinema pulp e splatter la domanda paradossale e assurda dei media vecchi e new, e del Grande Fratello Connesso Domestico, diventa subito la seguente: perché questo ragazzo sorridente (per esempio Carlo Lissi) ha sposato una donna di sei anni più grande di lui? Cosa c’è dietro? Un sentimento non ricambiato per un’altra giustificherebbe tutto, anche l’abisso più infernale? E’ questa la nuova frontiera dell’ipocrisia? L’opinione pubblica ormai assimila, giustifica, spettacolarizza, “razionalizza” tutto. E poi (ri)costruisce i suoi film surreali del reale, delitto per delitto, sequenza per sequenza, partendo da una sceneggiatura perfetta. “Divorziare non avrebbe cancellato i miei figli… Dovevo ammazzarli tutti, non avevo scelta”.
E poi quell’altro, quel muratore dallo sguardo di ghiaccio, l’assassino presunto di Yara, Massimo Bossetti. Ma le avete sbirciate le sue foto su Facebook? Normalissime, e perciò scioccanti, e quindi normalissime. La prova del Dna lo inchioda. Ma lui si professa sereno e innocente. Perché ha spento il suo cellulare per 14 ore? Sua moglie non ricorda. Sua mamma lo scagiona.
Certi orrori è come se si fossero andati svuotando del loro peso immane e insostenibile. Omicidi. Femminicidi. Infanticidi. Il bene. Il male. Nemmeno i gesti più efferati e senza senso ci spaventano più. Ci interessa invece ricostruirne il contesto, il dietro le quinte, e chissà perché. Sentirci tutti dei piccoli impassibili criminologi e reporter, nell’era della presunta democrazia elettronica. Per scoprire la verità dall’altra parte del monitor.