Il tema della spending review è definitivamente scomparso dall’agenda politica. Non se ne parla più, Carlo Cottarelli si è chiuso in un silenzio impenetrabile (ma molto più probabilmente il silenzio gli è stato imposto dal premier) e del piano elaborato dal manager incaricato dal precedente governo di tagliare gli sprechi si sono perse completamente le tracce.
È un film già visto. Altri dossier, nella breve e incidentata storia della spending review, sono scomparsi nel nulla. Boicottati da resistenze di palazzo e veti incrociati. Inghiottiti dalle sabbie mobili di una politica che fino ad ora ha sempre e solo giocato a fare la spending review. Incapace come è stata nei fatti di aggredire e sradicare sacche di inefficienze e scialacquamenti di denaro pubblico presenti nella pubblica amministrazione, soprattutto a livello centrale.
Mario Monti, a cui va ascritto il merito di aver dato il la alla spending review in salsa italiana, aveva costituito addirittura un comitato per la spending review, che pare avesse individuato gli ambiti dove recuperare in un solo anno ben 4,2 miliardi di euro degli oltre 20 a regime. Sul tema ci fu pure una mega consultazione popolare on line, attraverso la quale vennero raccolte ben 130 mila segnalazioni da altrettanti cittadini. Senza considerare che oltre a Bondi, vennero messi in campo personaggi del calibro di Giuliano Amato (sulla materia dei contributi diretti e indiretti a partiti e sindacati) e Francesco Giavazzi (sui sussidi alle imprese). Risultato di tutto questo dispiegamento di forze e mezzi: zero!
Enrico Letta, una volta giunto a palazzo Chigi, visti i magri risultati conseguiti dal suo predecessore, ha voluto in un certo senso blindare – o tentare di farlo – il percorso per una riduzione strutturale della spesa pubblica. Chiamando appunto Carlo Cottarelli a ricoprire, per tre anni il ruolo di commissario alla spending review e configurando così “una struttura stabile, dotata di poteri d’ispezione e ampia capacità di proposta e intervento nei confronti delle amministrazioni centrali e periferiche”.
“Cottarelli – si legge nel comunicato stampa con cui palazzo Chigi ha ufficializzato lo scorso anno la sua nomina – agirà sulla base degli indirizzi del Comitato interministeriale presieduto dal presidente del Consiglio e composto dai ministri dell’Economia e delle Finanze, dell’Interno, per i Rapporti con il Parlamento, per la Pubblica amministrazione e semplificazione e dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con funzioni di segretario del Consiglio dei Ministri”.
Ecco, in queste poche righe vi si trova la risposta al perché il lavoro di Cottarelli sia rimasto a metà del guado e molto probabilmente non vedrà mai la luce.
Gli indirizzi del comitato interministeriale al commissario, una volta giunto a capo del governo Matteo Renzi, pare siano stati quelli di stare fermo. E dunque Cottarelli sarebbe stato di fatto demansionato, come si usa dire in sindacalese.
Se così è, se ne prenda atto e si abbia la decenza di risolvere consensualmente il contratto che lega Cottarelli al governo italiano. Con la conseguenza che almeno una piccola goccia nel mare di possibili risparmi sulla spesa pubblica verrà realizzata.
Twitter @albcrepaldi