Altro che addio a Telecom in Italia per lasciare spazio ad una società con azionariato diffuso. Telefonica ha fatto solo un piccolo passo indietro per evitare di restare incastrata nel cambio delle regole sull’offerta pubblica di acquisto. La compagnia spagnola ha infatti venduto 103 milioni di titoli che si trasformeranno in azioni Telecom nel 2016 proprio mentre a Roma torna d’attualità la mozione dei senatori Mucchetti-Mattioli. Mozione, mai convertita in legge, che prevede l’obbligo del lancio di un’offerta pubblica di acquisto su una società quotata al superamento di una soglia pari al 15% del capitale. Gli spagnoli, che di Telecom hanno già il 14,8%, hanno insomma pensato bene di mettersi al riparo dai rischi legati al discusso convertendo di novembre che avrebbe proiettato la partecipazione del gruppo iberico oltre il nuovo limite già indicato nella mozione.
Una scelta strategica ben precisa che indica, se ancora ce ne fosse stato bisogno, come Telefonica non abbia alcuna intenzione di lanciare un’offerta su Telecom e, con l’attuale quota, voglia invece continuare ad avere un ruolo di peso nell’azienda italiana. Anche a dispetto dello scioglimento di Telco, la holding di controllo di Telecom composta, oltre che da Telefonica, anche da Generali (socia al 4,3% di Telecom), Intesa Sanpaolo e Mediobanca (entrambe all’1,7% della società di telefonia italiana). In compenso la vendita dei titoli del prestito, anticipata da Il Sole24Ore per essere poi confermata dall’azienda, non ha mancato di suscitare tensione a Piazza Affari. “Nel premercato il titolo Telecom Italia veniva prezzato a 1,1 euro, +9,6%, con notevoli quantità in acquisto – denuncia alla Consob una nota dell’Asati, l’associazione degli azionisti di minoranza Telecom Italia – Con il passare del tempo, verso le ore 9, i quantitativi consistenti in acquisto scemavano sensibilmente” con un impatto evidente sul titolo. I cui “movimenti anomali”, secondo Asati, meritano l’attenzione della Consob.
Tanto più che lo scioglimento di Telco non sembra comporti un cambiamento sostanziale nella struttura di comando di Telecom Italia, che, nell’ultima assemblea, ha registrato una forte attenzione da parte dei fondi e di Assogestioni, associazione di rappresentanza delle società di gestione che sono soprattutto di estrazione bancaria. Una circostanza, quest’ultima, che visti i grossi interessi bancari nel debito Telecom (27,5 miliardi) smentisce nei fatti quanti sostengono che, con lo scioglimento di Telco, la società si avvii ad essere una società ad azionariato diffuso, la cosiddetta public company sognata già ai tempi della privatizzazione degli anni ‘90.