Con l’inizio della bella stagione diventa per molti quasi un imperativo categorico. Perdere peso, però, va ben oltre il comune cruccio della prova costume. È un problema medico complesso e sempre più esteso. “Il 30% della popolazione mondiale è obesa”. A sostenerlo una ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista The Lancet e condotta su 188 Paesi da un team internazionale di studiosi, coordinati dall’Institute for health metrics and evaluation (Ihme) di Washington. “È una questione che interessa tutto il mondo – afferma Christopher Murray, direttore del centro di ricerca americano – indipendentemente dall’età, dal luogo o dal reddito”. E che gli scienziati affrontano sempre più cercando nel Dna la chiave per una corretta alimentazione e peso corporeo. 

Un problema, quello dell’obesità che, secondo l’indagine di Lancet, complice la crisi e la diffusione dei cosiddetti cibi spazzatura, riguarda ormai più di 2 miliardi di persone, il 62% delle quali vive in Paesi in via di sviluppo. Tra il 1980 e il 2013 la percentuale di persone con un indice di massa corporea, il rapporto tra peso e quadrato dell’altezza, superiore a 25 – valore al di là del quale gli specialisti iniziano a parlare di sovrappeso e, superata la soglia di 30, di obesità – è cresciuta su scala mondiale dal 28,8% al 36,9% per gli uomini e dal 29,8% al 38% per le donne. Preoccupante il dato di bambini e adolescenti, tra i quali negli ultimi trent’anni i ricercatori hanno riscontrato una crescita del fenomeno pari al 50%. L’aumento di peso può, inoltre, rappresentare la precondizione per la comparsa di altre patologie. Gli scienziati hanno, infatti, dimostrato che in una persona obesa si riscontrano spesso picchi di diabete, e che possono crescere i tassi di alcuni tumori come quello al pancreas. “Nel 1980 le persone con problemi di peso erano meno di un miliardo – sottolineano gli esperti -. Principale responsabile di questo balzo è la modernizzazione del nostro mondo, che spesso porta a inattività fisica a tutti i livelli”. 

Ma com’è possibile iniziare a invertire questo trend negativo? Un team di ricercatori britannici delle Università di Oxford e Reading, in uno studio pubblicato sul British Medical Journal, affermano che l’introduzione di una tassa del 20% su bibite zuccherine e frizzanti ridurrebbe nel solo Regno Unito di 180mila unità il numero di persone obese, con un impatto maggiore soprattutto nella fascia di età inferiore ai 30 anni. Inoltre, secondo un’indagine promossa da alcuni enti e fondazioni mediche inglesi, come la British heart foundation, in collaborazione con l’University of Liverpool, i giovani nell’arco della giornata, soprattutto nel corso dei programmi più seguiti come X-Factor, sono bombardati da spot su cibi spazzatura, che rappresentano la metà di quelli riguardanti prodotti alimentari. Gli esperti inglesi suggeriscono di bandire questo tipo di pubblicità durante il cosiddetto primetime televisivo, orario serale di maggior ascolto nel corso del quale le famiglie sono in genere riunite a cena. Nessun Paese, tuttavia, stando alle conclusioni della ricerca di Lancet, è finora riuscito a trovare una soluzione al problema dell’obesità, soprattutto infantile. “Si tratta di una questione complessa – spiegano gli esperti Usa – che richiede un intervento a più livelli: nazionale, locale, familiare e individuale”. 

La risposta potrebbe essere scritta nel Dna, che nasconderebbe il segreto delle preferenze alimentari. Un gruppo di studiosi dell’Università di Trieste e dell’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) Burlo Garofolo, sempre a Trieste, ha infatti individuato un gruppo di geni coinvolti nella percezione del gusto e nella scelta di alcuni cibi. La ricerca, presentata nei giorni scorsi in occasione del meeting della European society of human genetics (Eshg), si basa sul confronto delle preferenze alimentari, relative a 80 tipologie diverse di cibi, con i profili genetici di 4mila volontari, di cui più della metà italiani. Una scoperta che, secondo gli autori, potrebbe aiutare a prevenire la propensione a obesità e diabete, e rappresentare un primo passo verso le cosiddette diete genetiche personalizzate. 

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