La stampa locale ha pubblicato un rapporto dell'Investigative Bureau, una delle polizie investigative indiane, su una serie di organizzazioni tra cui Greenpeace, ActionAid e Amnesty International: sono accusate di "creare un ambiente funzionale all'ostruzione di progetti per lo sviluppo economico". Nella lista manca "Rashtriya Swayamsevak Sangh", formazione paramilitare in cui il neo-premier Modi milita dal 1971
Non è ancora una vera e propria dichiarazione di guerra alle Ong internazionali, ma poco ci manca. La scorsa settimana il quotidiano indiano The Indian Express ha rivelato il contenuto di un rapporto di 21 pagine stilato dall’Investigative Bureau (Ib), una delle polizie investigative della Repubblica indiana, dove una serie di Ong straniere attive sul territorio indiano vengono individuate come corresponsabili del rallentamento economico del paese, un ostacolo al progresso.
Negli stralci del documento resi pubblici si legge che “un significativo numero di Ong (sostenute da fondi provenienti Usa, Regno Unito, Germania, Paesi Bassi e paesi scandinavi) utilizza campagne popolari per creare un ambiente funzionale all’ostruzione di progetti per lo sviluppo economico”. Il rapporto, indirizzato all’ufficio del primo ministro Narendra Modi, si spinge fino a valutare il danno economico causato dalle attività delle Ong straniere in “2-3 punti percentuali del Pil all’anno”, conseguenza di progetti bloccati in campi che vanno dall’energia nucleare all’estrazione carbonifera, passando per la realizzazione di mega hub industriali o campi per coltivazioni Ogm.
Tra le Ong accusate di “attività anti-sviluppo” spicca Greenpeace, in prima linea in India per la salvaguardia del patrimonio ambientale nazionale, organizzando proteste ai danni delle compagnie di India Inc. Nel mese di marzo, ad esempio, Greenpeace Australia aveva divulgato un rapporto in cui accusava l’industriale gujarati Gautam Adani (molto vicino a Narendra Modi) di sfruttamento del territorio – in Gujarat e in Australia – non conforme alle regolamentazioni nazionali in materia di sicurezza ambientale. D’altro canto, la realizzazione di tali progetti- si parla di creazione di Zone Economiche Esclusive in Gujarat prima di ricevere il via libera dalle autorità, miniere di carbone realizzate in riserve naturali, espropriazione di terreni portata avanti illegalmente in Madhya Pradesh – contribuirebbe alla creazione di posti di lavoro e aumento della produttività, con benefici diretti al Pil indiano.
Difendendosi dalle accuse di essere degli “agenti al soldo degli stranieri”, Abhishek Pratp di Greenpeace India ha dichiarato al quotidiano Hindustan Times: “Nel 2013-13 Greenpeace ha ricevuto 200 milioni di rupie in donazioni (2,4 milioni di euro). Oltre il 60 per cento proviene da sostenitori indiani, mentre i fondi stranieri coprono solo il 37 per cento del totale […]. Se la crescita indiana può essere minacciata da una cifra così irrisoria, allora siamo di fronte a una barzelletta, considerando l’enormità dei fondi a disposizione di multinazionali e lobbysti stranieri”. Narendra Modi, prendendo visione del rapporto dell’Ib, ha chiesto a tutti i ministeri del governo indiano di stilare un elenco dettagliato delle Ong straniere attive nel paese, indicando progetti in corso e la provenienza dei fondi utilizzati.
Proseguendo l’inchiesta, The Indian Express si è accorto che ampi stralci del rapporto dell’Ib sono stati copiati integralmente da un discorso pronunciato dallo stesso Narendra Modi nel 2006, a margine della presentazione del volume NGOs, Activists & Foreign Funds: Anti-National Industry, una raccolta di articoli sviluppati attorno al concetto di una “anti-hindu agenda” alla quale si presterebbero numerose Ong straniere. Il passaggio in questione descrive il modus operandi di alcune Ong: “Arrivano fondi dall’estero; si fonda una Ong; vengono commissionati alcuni articoli ai media locali; una società di PR viene ingaggiata e lentamente, con l’aiuto dei media, si costruisce un’immagine positiva. In seguito, vengono dati alcuni premi internazionali per aumentarne l’autorevolezza. Questo circolo vizioso, un network di finanza-attivismo-premiazioni, fa sì che una volta ricevuto un premio, nessuno in Hindustan possa degnarsi di alzare un dito, pur a fronte dei numerosi fallimenti della Ong premiata”.
Ora nel paese il dibattito è aperto. Sarà da vedere se la richiesta di informazioni dettagliate sulle Ong foraggiate dall’estero produrrà una regolamentazione più stringente, arginando la piaga dei fondi non dichiarati – un buco enorme, secondo The Indian Express, con 125 miliardi di rupie (1,5 miliardi di euro) provenienti dall’estero dei quali solo il 2 per cento denunciati al fisco -, o se la misura andrà a colpire esclusivamente le organizzazioni che ostacolano il sogno del progresso indiano, portato avanti a discapito di ambiente e diritti delle minoranze (etniche e tribali).
Ironicamente, nell’elenco provvisorio comparso sulle pagine dei giornali nazionali, al fianco di Greenpeace, ActionAid e Amnesty International, manca tuttavia l’organizzazione non governativa paramilitare hindu Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss), dove Modi ha militato ininterrottamente dal 1971 ad oggi. Naresh Fernandes, sul magazine online Scroll.in, fa notare che l’organizzazione – 2,5 milioni di membri – nel 2002 aveva ricevuto 3 milioni di dollari in donazioni da una società caritatevole con sede in Maryland, Usa. La Rss, assieme al resto della costellazione non governativa dell’integralismo hindu, è responsabile di numerosi pogrom anti-musulmani, tra i quali spiccano i Gujarat Riots del 2002: duemila morti, secondo le cifre ufficiose, dei quali oltre due terzi di religione islamica. Caso che vede ancora alla sbarra con l’accusa di inadempienza numerosi membri del governo locale del Gujarat, colpevoli di non essere intervenuti a sedare la violenza intercomunitaria nello stato guidato, all’epoca, proprio da Narendra Modi.
Matteo Miavaldi