Non prendetevela: da ortodosso del calcio vi dico che in fondo non è stato così male perdere con il Costa Rica. L’Italia prenda appunti: ci siamo inchinati ad un Paese eroico, che il suo mondiale lo ha già vinto nel 1949, quando nel redigere la sua Carta Costituzionale decise di rinunciare all’istituzione di un esercito permanente. Il colpo “rivoluzionario” oggi si deve all’ex presidente della Repubblica José Figueres Ferrer. Fu una scelta di opportunità politica ed economica, come quella di dichiarare la propria neutralità nell’83, che da allora gli ha permesso di indirizzare le proprie risorse in altri settori. Ciò ha comportato un alto tasso di sviluppo umano, una discreta dotazione di opere pubbliche e una preservazione del patrimonio faunistico e floristico: il 27,9% del territorio costaricano oggi è parco nazionale.

Quindi mentre il dipartimento di Stato americano viene a dirci che una eventuale riduzione del programma F35 avrebbe contraccolpi pesanti sull’occupazione, e mentre l’Occidente continua a concepire la rincorsa agli armamenti come il miglior biglietto da visita ai suoi partner economici, la terra dei tuberi e di Colombo da 65 anni a questa parte ci dimostra che i militari non sono una necessità. Al contrario. Possono essere un ostacolo alla crescita. Non è un caso che la qualità della vita in Costa Rica sia piuttosto alta: i livelli di alfabetizzazione superano il 95%, mentre il servizio sanitario pubblico resta tra i più affidabili della regione. 

La nazione è stata anche classificata al primo posto per la felicità media della popolazione nella graduatoria Happiness in nations 2000-2009, tra i suoi ex presidenti vanta il Nobel per la Pace Óscar Arias Sánchez, premiato nel 1987 per la sua opera a favore della stabilità in America Centrale, e riconosce gli stati autonomi del Kosovo, del Sahara occidentale e della Palestina. Nel giugno 2007, dopo quasi 50 anni di relazioni diplomatiche, ha spostato il suo ambasciatore da Taipei (Taiwan) a Pechino cessando ogni rapporto con la repubblica “ribelle”.

Insomma, l’idea di giocarci il mondiale per aver perso contro quella che sarebbe dovuta essere la vittima sacrificale del girone brucia, non c’è dubbio. Ma martedì c’è l’Uruguay, ci rifaremo. Altrimenti l’occasione sarà buona per imparare ancora. Questa volta da “Pepe” Mujica, un altro miracolo dell’era post-moderna.

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