…e dunque non penseremo che tutta la manfrina per la riforma del Senato avesse come principale obbiettivo il ripristino della cosiddetta immunità parlamentare.
Non lo penseremo. Troppo ci brucia ancora aver visto il Parlamento italiano votare che era credibile che Ruby Rubacuori fosse la nipote di Mubarak. Non vogliamo neppure pensare che possa succedere di nuovo qualcosa di simile. L’immunità servirà per salvaguardare i politici onesti e coraggiosi che non devono correre rischi solo perché hanno opinioni diverse da quelle della maggioranza del Parlamento o del paese. E chi sta leggendo e sogghigna vuol dire che non ha fiducia nella democrazia.
Certo, lo ammetto: un paese in cui scoppiano a breve distanza due scandali (ma è adeguato chiamarli solo scandali?) come quelli dell’Expo e del Mose, non offre molte ragioni per essere fiduciosi, positivi. Personalmente trovo particolarmente avvilenti gli aspetti culturali delle due faccende:
-non abbiamo visto scoppi di indignazione adeguati alla gravità dei fatti;
-la corruzione nella società italiana si trova a tutti i livelli e in tutti gli ambienti della vita sociale, forse è per questo che c’è così poca indignazione: non ci si indigna con chi fa le stesse cose che facciamo noi;
– infine, proprio mentre l’espressione ‘metterci la faccia’ imperversa nei discorsi, nei proclami, negli annunci, si ha la prova empirica che la classe dirigente italiana ha completamente perso la faccia. Non ci si vergogna di nulla. A quanto pare, nessuno ha più una reputazione da difendere, una estraneità ai fatti da conclamare, un rispetto da pretendere. Anche noi dovremo farcene una ragione: tra coloro che ci governano e coloro che ci amministrano c’è un’alta percentuale di ladri, imbroglioni, bugiardi, truffatori e prevaricatori, i quali considerano se stessi dei ‘dritti’ ovvero delle persone molto abili e furbe. Giudizio condiviso dai milioni di italiani che li votano e li ammirano.
Una società dove il fattore reputazione non gioca più alcun ruolo non è una società facile da governare. Le leggi e le regole si rispettano per uno dei seguenti motivi: o si è interiorizzato un principio morale così robusto che non ammette deroghe, ed è un caso abbastanza raro in questo paese; o si tiene molto alla propria reputazione, a “quello che dirà la gente”, perché una cattiva reputazione è socialmente dannosa o molto dannosa; o si rispettano per coercizione e per paura. Ma quest’ultima possibilità si vanifica quando si scopre che sono corruttibili anche coloro che dovrebbero controllare. Almeno alcuni e non dei meno importanti. E allora?
Per completare il ‘pacchetto’ di quello che mi aiuterebbe a avere più fiducia, c’è anche la questione della presunzione di innocenza. E’ un dispositivo che dovrebbe garantire all’indagato, all’inquisito, all’imputato il massimo della possibilità di difesa, mettendolo al riparo da pre-giudizi negativi degli inquirenti, dei giudicanti, della stessa opinione pubblica. Ma presunzione di innocenza non è dichiarazione di innocenza. Se sei per qualche ragione inquisito, ancorché presunto innocente, sarebbe opportuno che tu abbandonassi qualsiasi incarico pubblico la cui natura sia tale
-da presupporre un rapporto di fiducia tra te e i cittadini;
– da poter per sua natura interferire con le indagini
Insomma mi darebbe una grande fiducia una legge che, senza alcun intento persecutorio ma solo per garantire i cittadini, escludesse o sospendesse da qualsiasi incarico pubblico chi è indagato, inquisito, imputato. Salvo reintegrarlo con tutti gli onori il giorno in cui la sua innocenza fosse dimostrata.
E come chiusura, un saluto alla Ministra Boschi e a tutti quelli che condividono con lei l’idea che se uno si becca qualche milione di voti è perciò redento, ripulito, degno di far parte di qualsiasi consesso. Ministra, mi meraviglio di Lei, che certe cose dovrebbe saperle: ma lo sa come si costruisce il consenso nell’età della comunicazione di massa? Sa qualcosa sui processi di identificazione e di feticizzazione che può mettere in moto chi controlla la televisione?
Forse il più grave ritardo culturale del Paese sta proprio qui: abbiamo i media ma non abbiamo fatto i conti, almeno sul piano istituzionale, con l’esistenza dei media.
P.S. E per favore: l’ultima frase non è una invocazione alla censura!