Per l’immunità parlamentare si sono cambiati governi ed erette trincee. Nel 1893, quando scoppia lo scandalo della Banca Romana, il governatore Bernardo Tanlongo, senatore del Regno, la invoca per non finire in manette. Durante il fascismo, però, non salva Antonio Gramsci dal carcere in cui il regime lo farà morire. Nel 1984, Enzo Tortora, sarà eletto eurodeputato, con i Radicali, anche per usufruire dell’immunità a cui però decide di rinunciare. Giulio Andreotti si salverà, anche grazie all’astensione del Pci, da diverse accuse ma quando affronterà quella definitiva, rinuncerà al privilegio. Bettino Craxi, invece, sarà bersagliato dalle monetine dopo il voto con cui la Camera lo mette in salvo dalla richiesta di autorizzazione a procedere nel 1993.
Quello sarà l’anno in cui la legge viene modificata. Fino ad allora “l’autorizzazione a procedere” impediva ai magistrati di avviare qualsiasi indagine su un parlamentare senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza. Dal 1948 al 1993 su 1225 richieste, 963 sono state respinte. Con la riforma dell’articolo 68 della Costituzione “nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale (…) salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna”. L’autorizzazione è necessaria anche “per sottoporre i membri del Parlamento a intercettazioni”. I giudici possono avviare le indagini ma sono costretti a fermarsi sulla porta dell’arresto.
Che l’immunità sia stata un’architrave del sistema politico lo dimostra il discorso con cui Aldo Moro difende la Dc nel pieno dello scandalo Lockheed. È il 1977, la contestazione imperversa e il governo si regge sull’astensione comunista. Il presidente Dc urla in aula: “Noi non ci faremo processare nelle piazze”. Lo scandalo degli aerei Hercules per cui l’ex segretario e presidente del Consiglio della Dc, Mariano Rumor, fu chiamato in causa insieme all’altro Dc, Luigi Gui e al socialdemocratico Mario Tanassi, costrinse la Camera a concedere l’autorizzazione per Gui e Tanassi mentre Rumor fu salvato in Commissione inquirente dal voto decisivo di Mino Martinazzoli. La Camera voterà per l’incriminazione dei due deputati ma poi, solo Tanassi finirà in galera. Nel novembre del 1984 è Giulio Andreotti a essere salvato dal Parlamento riunito in seduta comune (come da vecchio ordinamento) per la messa in stato di accusa del ministro. Verrà salvato da 484 voti contrari e 421 a favore. Voti in larga parte del Pci che qualche tempo prima si era astenuto sul voto che inchiodava Andreotti al caso Sindona. In quel caso si trattava di una mozione radicale e il capogruppo Pci era Giorgio Napolitano.
Il 29 aprile 1993, invece, è il giorno in cui si insedia il nuovo governo Ciampi che vede, per la prima volta, esponenti della sinistra (il Pds). In quello stesso giorno, la Camera nega l’autorizzazione a procedere contro Bettino Craxi. Il Pds ritira dal governo i nomi indicati. Il giorno dopo, Craxi, verrà bersagliato dalle monetine mentre esce dall’hotel Raphael. Nel settembre dello stesso anno, Giovanni Russo Spena, ex Dp ora Prc, vota contro l’arresto dell’ex ministro Francesco De Lorenzo finito nello scandalo Sanità. Lui invoca il principio garantista ma finirà “processato” dal suo stesso partito. Giulio Andreotti, invece, dopo l’avviso di garanzia della Procura di Palermo, decide di rinunciare all’immunità. Tangentopoli sta facendo il suo corso e nell’ottobre del 1993 la legge viene modificata. Nel 2007 la Camera sarà così chiamata a votare la decadenza del berlusconiano Cesare Previti solo dopo la condanna in Cassazione per l’Imi-Sir. Lui, si dimetterà un minuto prima del voto. Il 20 luglio 2011 la Camera vota la procedura di arresto per il pidiellino Alfonso Papa che finisce direttamente in carcere. Lo stesso avverrà, poche settimane fa, per il Pd Francantonio Genovese. Con la decadenza di Silvio Berlusconi, il 27 novembre 2013, il “coraggio” del Parlamento fa un salto in avanti. Aspettando Matteo Renzi.
Da Il Fatto Quotidiano del 22 giugno 2014