Niccolò Ammaniti, premio Strega nel 2007, è stato ospite al Biografilm festival di Bologna per presentare il suo debutto alla regia con il documentario The Good Life. Dopo aver scritto storie adattate per il grande schermo come Io non Ho Paura o Come Dio comanda, Ammaniti decide di raccontare con le immagini, lasciando riposare le parole. Tre vite, tre storie di italiani trasferitisi in India alla ricerca di un riscatto e di una nuova vita. Baba Shiva lascia l’Italia e diventa un sacerdote induista, avvolto nella sua veste rossa, recitando preghiere sulle rive del Gange. Eris, nomade in viaggio per l’Asia, si stabilisce con moglie e figli sull’Himalaya. Giorgio, fuggito di casa a tredici anni, diventa il custode del tempio in un piccolo paese polveroso. Lo scrittore usa il suo talento e la sua sensibilità per raccontare un universo affascinante, di persone che hanno rinunciato all’Italia per una vita diversa, in cui non c’è spazio per il superfluo. Il viaggio come fuga, e come mezzo per scoprire se stessi e la vera essenza della vita, attraverso una nuova spiritualità. Mentre l’Italia è soffocata da gerarchie, arrivismo e ambizione, è difficile non desiderare di andare altrove per qualcosa di diverso.
Hai già ambientato in India il tuo romanzo Branchie nel 1994. Cosa ti affascina di questo paese?
L’India è un continente enorme, grande quasi quanto l’Europa e ha dentro tante culture diverse. Ci sono religioni e credi diverse, posizioni filosofiche e di vita completamente diverse. Viaggiando attraverso l’India, senti che il tuo panorama cambia, e ti senti perso. Perdi i punti di riferimento che conosci e questa sensazione di perdermi non l’ho mai provata in nessun’altra parte. Nello stesso tempo hai la percezione di essere accettato per quello che sei. Puoi essere quello che vuoi, basta che non disturbi gli altri.
Come hai trovato i tre personaggi per raccogliere le testimonianze?
Sono stato in India diverse volte e ho incontrato tanti italiani che sono andati lì negli anni ’70, con ogni mezzo, e sono arrivati in India pensando che fosse la patria dell’armonia, delle religioni, dell’apertura totale e di una nuova spiritualità. Molti sono tornati non contenti, altri sono stati recuperati dalle famiglie e sono tornati indietro, altri sono rimasti. Nonostante professino un’armonia per la loro situazione attuale, trasmettono anche una nostalgia per l’Italia e i loro ricordi si sono fossilizzati nel momento in cui hanno deciso di fare un’altra vita.
Come mai non hai utilizzato questo materiale per scrivere un libro?
Io sono un narratore, uno che racconta delle storie inventate. In questo caso non mi servivano, mi interessava avere una rappresentazione di quello che noi siamo, visto da occhi che ci conoscono ma che sono anche estremamente distanti.
Al Biografilm è un’anteprima assoluta per The Good Life? Quali sono i programmi per la distribuzione?
All’inizio avevamo pensato questo The Good Life come tre interviste, tre episodi distinti fatto per Current Tv, la televisione di Al Gore che poi ha chiuso. Lo abbiamo fatto tanti anni fa e non lo aveva visto nessuno, ma secondo me sono testimonianze interessanti.
I protagonisti intervistati hanno lasciato l’Italia perché la ritenevano un paese dove non poter vivere bene, ma dagli anni ’70 ad oggi non è cambiato molto se non hanno mai sentito l’esigenza di tornare. Cosa pensi dell’Italia di oggi? Cosa non funziona?
Facciamo prima a dire le cose che funzionano. In questo momento si sente una necessità di cambiamento, si avverte che la gente è stanca di certe dinamiche. Il rischio è che le giovani generazioni si adattino al modo di pensare delle persone della mia età e ripropongano lo stesso modo e stile di vita. Se quelli che oggi hanno tra i 20 e i 30 anni decidessero che la corruzione non è accettabile, che pagare le tasse è importante, questo paese potrebbe fare qualcosa. Ma se fanno le stesse cose che abbiamo fatto noi fino ad oggi, siamo destinati al fallimento totale.