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Consob, dall’orbita renziana la nuova commissaria Anna Genovese

All'authority guidata dal tremontiano Vergas arriva l'allieva dell’avvocato, amico del premier, con cui lavorava il ministro Maria Elena Boschi. A ridimensionare il potere del presidente dell'Authority è inoltre la decisione di Matteo Renzi di riportare a cinque il numero dei commissari

Genovese chi? Appena annunciato che Anna Genovese è il nuovo commissario Consob, sono partite le ricerche per capire chi sia la nuova arrivata dentro l’Authority guidata con piglio monarchico dal presidente Giuseppe Vegas. Si sa che ha 49 anni e che dal 2004 insegna Diritto commerciale all’Università di Verona; che prima era professore associato e ricercatore all’Università di Catanzaro; e che non fa parte del mondo tremontiano da cui provengono Vegas e i fedelissimi da lui chiamati in Consob. E allora, Genovese chi? Resta inviolata la regola aurea esplicitata dal professor Marco Onado, secondo cui l’ex vice di Giulio Tremonti al ministero dell’Economia si è sempre attorniato, dentro l’Autorità, di persone “accomunate da un unico merito: quello di non aver mai avuto alcun rapporto diretto con il mercato”. La professoressa Genovese sembrerebbe più adatta all’Antitrust, studia le pratiche commerciali scorrette e non si è mai occupata di finanza e mercati. Ma che conta la competenza, visto che al Garante della privacy è stato nominato un dermatologo? La domanda comunque resta: come è stata scelta Anna Genovese? Il viaggio da Verona a Roma passa per Firenze. Qui ha lo studio il maestro della neo-commissaria, l’avvocato e professore Umberto Tombari, il docente di Diritto commerciale che l’ha messa in cattedra. Tombari è amico di Matteo Renzi. E presso il suo studio ha lavorato, fresca di laurea, una giovane destinata a fare strada: Maria Elena Boschi, oggi ministro delle Riforme.

Lo studio Tombari Corsi D’Angelo e Associati è uno dei più prestigiosi in riva all’Arno. Il suo dominus, Umberto Tombari, è al centro di una rete di potere che da Firenze s’irradia fino a Roma. È un civilista stimatissimo. Ma anche presidente di Firenze Mobilità, controllata dal Comune dov’era sindaco Renzi. Presidente anche della Sici (Sviluppo Imprese Centro Italia), partecipata da Montepaschi, Banca Cr Firenze, Banca Etruria, Cassa di Risparmio di San Miniato. È componente del comitato di indirizzo dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, consigliere d’amministrazione della Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno, consigliere indipendente della casa di moda Ferragamo e di Prelios-Pirelli. L’altro socio fondatore del suo studio, Francesco Corsi, ha fatto parte dei cda della Cassa di Risparmio di Firenze e della Fondiaria- Sai di Salvatore Ligresti, prima del disastro. La figlioccia di Tombari è cresciuta in questa rete. Sempre presente a ogni congresso a cui partecipa il maestro, fa parte con lui dell’Associazione Orizzonti del Diritto commerciale. E ora porta a Roma, grazie alle quote rosa, l’aria che ha respirato tra Firenze e Verona.

Troverà una Consob in trasformazione: il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha promesso che la commissione tornerà ad avere cinque membri. Per cercare di porre fine al potere monarchico del presidente Vegas, che ha sempre imposto di fatto le sue decisioni nella commissione a tre, con Paolo Troiano e Michele Pezzinga (e poi naturalmente in quella rimasta addirittura di due componenti, dopo la scadenza di Pezzinga). Le carte dell’indagine aperta a Milano dal pm Luigi Orsi sulla fusione Unipol-Fonsai ci permettono di ricostruire momento per momento il “metodo Vegas”. Non ci sono soltanto le votazioni, quando il presidente impone la sua volontà in commissione grazie alla frequente astensione di uno dei componenti e al “peso” del suo voto, che vale doppio. È tutta la trafila burocratica e il peso della struttura Consob, costruita su misura dal suo presidente, che indirizza le decisioni, rallenta, depista e in alcuni casi impedisce l’acquisizione di informazioni da parte dei commissari. Il contesto è quello della fusione (Unipol-Fonsai) che si deve fare a tutti i costi. Il protagonista principale di questa partita è il direttore generale della Consob Gaetano Caputi, voluto da Vegas e chiamato direttamente dal ministero dell’Economia Tremonti. Caputi coordina strettamente gli uffici che lavorano alla fusione: quello di Angelo Apponi (la divisione Emittenti), che si occupa della corretta appostazione in bilancio dei valori contabili; e quello di Marcello Minenna (l’ufficio Analisi quantitative), che calcola il valore dei titoli strutturati in pancia a Unipol. Tra i due nascono subito “forti tensioni”. Ma è Caputi ad aprire e chiudere a suo piacimento il rubinetto delle informazioni verso i due commissari. Già dopo un mese dall’inizio delle analisi, cominciano a emergere i primi problemi sul portafoglio titoli strutturati di Unipol. Riguardano un unico titolo enormemente sopravvalutato, ma Caputi esige che Minenna analizzi tutti i 358 titoli, uno per uno. Un lavoro che avrebbe bisogno di tempi biblici e che sarebbe terminato solo a giochi fatti.

A giugno 2013, l’Ivass (la struttura che vigila sulle compagnie assicurative) chiede informazioni. Vegas e Caputi fanno melina. Decidono, senza consultare i commissari, che le analisi sono “parziali e incomplete”. Così Ivass non ottiene collaborazione e delibera sulla fusione senza le informazioni chiave. Eppure Minenna già a giugno 2013 aveva raggiunto risultati solidi e affidabili, perché riguardavano l’80 per cento del controvalore nominale del portafoglio titoli di Unipol. Il restante 20 per cento era costituito da un gran numero di posizioni ancora da esaminare, ma frammentate e di “scarsa criticità” (sei mesi dopo i risultati finali sono cambiati solo di pochi milioni).

Anche la Procura di Milano attende l’esito delle analisi sui titoli strutturati e invia richieste di sollecito alla Consob, che Caputi intercetta e filtra. Anche in questo caso, melina. Pezzinga chiede che i commissari siano informati. Gli risponde, in burocratese, l’avvocato Salvatore Providenti, responsabile consulenza legale: “Non essendovi alcuna decisione da assumere in ordine al suo invio, la nota in oggetto, secondo la prassi costantemente seguita, è stata predisposta dalla scrivente, sulla base delle informazioni ricevute dalle Divisioni operative, e trasmessa a firma del Presidente”. La struttura Consob di fatto impedisce ai commissari l’accesso alle informazioni. Dopo mesi di richieste vane, a dicembre 2013 i due commissari devono valutare un’enorme mole di informazioni. Tra queste, le relazioni contrapposte di Apponi, per cui non c’era alcun problema, e Minenna, che invece stima che i titoli strutturati Unipol siano stati sopravvalutati di 600 milioni. Sappiamo com’è finita: Troiano si astiene, Pezzinga, che già da tempo si era studiato la documentazione faticosamente acquisita, rimane da solo a mettere in discussione i bilanci Unipol. Vince comunque Vegas, il cui voto vale due. Basterà una Genovese a riportare la Consob al suo ruolo?

Da Il Fatto Quotidiano di mercoledì 18 giugno 2014