Bene, i fautori delle grandi opere, questi soloni, spesso affermano che le grandi arterie tolgono dall’isolamento, che portano ricchezza.
Torniamo ai caselli di prima. Priero. A Priero l’autostrada terminava, e rimase per diversi anni il punto di arrivo della stessa. Avete mai sentito nominare Priero? Pensate che sia diventata ricca con l’autostrada a cui dava allora addirittura il nome? E pensiamo a Montezemolo, quel comune che se andate a cercarlo in rete faticherete a trovarlo surclassato dai link di Luca Cordero. Montezemolo, che nel 1871 aveva 647 abitanti e nel 1971 255. Bene, Montezemolo aveva appunto il casello autostradale. Gli portò ricchezza? Neanche per sogno. Montezemolo era uno dei comuni più poveri del cuneese. E tale rimase. Il casello autostradale fu chiuso per inutilizzo.
Ma estendiamo il nostro sguardo alla provincia di Cuneo, che si è sempre lagnata tramite i propri amministratori del proprio isolamento. “Occorre uscire dall’isolamento” era il loro mantra.
All’inizio del nuovo millennio Il Sole 24 Ore dava alla Provincia di Cuneo il primato del più alto numero di imprese in Italia ed il secondo posto come giro d’affari prodotti. E questo senza grandi collegamenti. In provincia di Cuneo, le Langhe non erano più quelle descritte da Nuto Revelli ne “Il Mondo dei Vinti”, ma erano divenute una delle zone più ricche del Piemonte. Le Langhe non avevano un’autostrada, né una ferrovia. Il capoluogo, Cuneo, è sempre stata una città benestante senza avere né un’autostrada che la raggiungesse né una ferrovia, se non la “turistica” Cuneo – Ventimiglia – Nizza. Oggi in compenso, Cuneo ha l’autostrada Asti – Cuneo, che ha un percorso singolare ed un impatto ambientale disastroso. L’autostrada l’ha forse arricchita ulteriormente?…
La triste realtà delle grandi opere che di pubblico hanno solo i disastri che creano. Di privato il business del costruirle, e, se va bene, nel caso delle autostrade, quello dei sontuosi pedaggi.