Anna Finocchiaro (Pd), presidente della commissione Affari costituzionali del Senato smentisce il ministro Boschi, che ieri si era dissociata dalla misura: ''L'esecutivo ha vistato due volte i nostri emendamenti, compreso quello sull'immunità. Conosceva il testo, sapeva tutto. Ha fatto una scelta". E tra i dem le frizioni aumentano. Mandelli (Forza Italia): "Noi non c'entriamo". Salvini: "Guarentigie solo per attività legislative dei senatori, chi prende mazzette deve essere arrestato"
“Noi non c’entriamo”. “Noi non la vogliamo”. “Se è un problema, si può togliere”. L’accordo per inserire l’emendamento che introduce l’immunità anche per il nuovo Senato è ormai (apparentemente) solo un lontano ricordo. Ora, tra i “firmatari” è scaricabarile continuo. Tutti si dissociano, tutti si discolpano, tutti chiamano in causa ‘altri’. E pensare che il patto – emendamenti compresi – era stato approvato, in commissione da Pd, Lega, Forza Italia e Ncd. Insomma, sulle garanzie per sindaci e consiglieri regionali che secondo l’intesa siederanno a Palazzo Madama le prese di posizione e pareri in ordine sparso, ma soprattutto veleni interni, lacerano la maggioranza trasversale delle riforme. E spaccano, soprattutto, il Partito democratico.
Dopo le accuse della minoranza Dem, è direttamente Anna Finocchiaro a sparare ad alzo zero. La presidente della commissione Affari costituzionali del Senato (che insieme a Roberto Calderoli ha depositato l’emendamento che abroga l’articolo 6 del testo del governo) non ci sta ad essere indicata come la fautrice dello scudo per gli amministratori locali che diventeranno senatori e in un’intervista a Repubblica ripaga con la stessa carta (e con toni infuocati) chi le aveva attribuito il ritorno della protezione. L’obiettivo delle sue accuse è ovviamente il governo e in particolare l’intervista che (sullo stesso giornale) ha rilasciato il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi. “L’esecutivo – dice Finocchiaro – ha vistato due volte i nostri emendamenti, compreso quello sull’immunità. Conosceva il testo, sapeva tutto. Ha fatto una scelta”, ha spiegato la Finocchiaro, che poi ha ricostruito non solo il timing, ma anche ciò che inizialmente prevedeva il suo progetto.
“Io avevo proposto che a decidere sulle autorizzazioni all’arresto e alle intercettazioni dovesse essere una sezione della Consulta e non il Parlamento – ha sottolineato – valeva sia per il Senato sia per la Camera. E’ una proposta di legge che ho presentato in questa legislatura e anche nella precedente”. Il suo disegno, però, è scomparso. Almeno a suo dire: “Stavolta l’avevo scritta in un emendamento, che è sparito dal testo perché il governo ritiene che non si debba appesantire il lavoro della Corte costituzionale“. Poi i veleni, con la Finocchiaro “disgustata dallo scaricabarile”. “Cosa vogliono da me? Vogliono dire che la Finocchiaro protegge i corrotti e i delinquenti? Ma stiamo scherzando. E’ questo il loro giochino? Sono disgustata”, ha attaccato la senatrice, che poi ha rivelato: “Sto pensando di proporre addirittura un emendamento al mio emendamento per far passare l’idea del rinvio alla Corte. Sono favorevole anche a uno scudo valido solo per le espressioni e i voti dati in aula. Risponderò così a questo fastidioso scaricabarile su di me. Però – ha osservato – è incredibile che tutto si riduca all’immunità: abbiamo fatto un lavoro pazzesco tutti insieme, ne è venuto fuori un Senato vero ma innovativo”.
Se ieri Maria Elena Boschi aveva parlato di “punto non centrale”, sulla stessa linea d’onda il premier Matteo Renzi, che ai suoi ha offerto una posizione chiara: l’immunità per i senatori non è fondamentale, al contrario del buon esito della riforma. Ergo: se lo scudo è un problema, lo si può tranquillamente togliere. Anche Roberto Speranza si allinea alla versione ufficiale, quella che tende a derubricare l’immunità a problema non centrale, dando la disponibilità a modifiche ma senza farsene promotori. “Non mi sembra – afferma appunto Speranza – un problema centrale nella strada verso le riforme. E’ giusto che il Senato approfondisca”. Stessa linea per il sottosegretario alle riforme Ivan Scalfarotto: “Se vuole sapere da me se metto a rischio l’intera riforma costituzionale per questo articolo, le dico che non mi pare il caso. Teniamo d’occhio il risultato nella sua interezza, vediamo se questo aspetto è veramente fondamentale e se alla fine del dibattito resterà oppure no”. Scalfarotto sta dalla parte di Anna Finocchiaro, che “ha ragione quando dice che hanno fatto un lavoro enorme e su tutto questo lavoro parliamo di un singolo emendamento”.
Per parte sua, il governo tira dritto. “Sul tema dell’immunità sarà il Senato a decidere senza alcun pregiudizio”, dice il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Maurizio Lupi. “Il tema non è l’immunità, ma è quello di fare le riforme” aggiunge Lupi, sottolineando che “sul nuovo Senato finalmente si passa dalla parole ai fatti per le riforme. L’accordo è stato raggiunto tra la maggioranza e alcune forze dell’opposizione”. Secondo il ministro “l’immunità è un tema legato alla funzione che il Senato deve avere. Se deve essere la stessa della Camera, oppure no, ne discuteremo a Palazzo Madama”. A farsi portavoce del malumore democratico è, come spesso accade negli ultimi tempi, Vannino Chiti. “L’immunità per sindaci e consiglieri regionali non solo non ha senso, ma diventerebbe anche molto rischiosa perché si estenderebbe all’attività amministrativa, all’azione di quel consigliere regionale-senatore, di quel sindaco-senatore. Così, in un Paese come l’Italia, si amplia la sfera della non trasparenza e aumenta il rischio dell’illegalità”.
Se la minoranza dem attacca il governo per togliere l’immunità, non la pensano così gli alleati del ‘patto per le riforme’. E trattano la questione come se non facessero parte della compagine che ha contribuito a crearla. A cominciare dalla Lega Nord, che vede in Calderoli uno degli artefici dell’emendamento. “Io terrei l’immunità solo per fatti riconducibili all’attività legislativa e politica del senatore che è anche sindaco o consigliere regionale”, ha detto alla Stampa Matteo Salvini, secondo cui “se piglio una mazzetta devo essere arrestato, punto e basta, anche se mi mandano a Palazzo Madama”. La spiegazione del leader del Carroccio, tuttavia, è condita da una valutazione politico-giudiziaria: “Se l’immunità viene estesa senza limiti non mi piace. Detto questo, in linea di principio io sono a favore a una tutela del parlamentare. In questi 20 anni ho visto troppi nostri sindaci e assessori comunali arrestati e poi rilasciati perché è emerso che non c’era nulla a loro carico. Ma intanto – ed è qui che Salvini ha alzato il tiro – sono stati rovinati da magistrati che non rispondono mai dei loro errori e messi alla gogna e nel tritacarne mediatico”.
Fine dello scaricabarile? No, mancano i berlusconiani, maggiori indiziati di aver chiesto questa contropartita in cambio dell’accordo sulle riforme: “Forza Italia non ha nulla a che vedere con l’emendamento sull’immunità: il nostro capogruppo al Senato, Romani, lo ha detto chiaramente”. Così, a Tgcom24, il senatore di Fi Andrea Mandelli. “Ma – ha aggiunto – al di là della paternità dell’iniziativa, credo che la polemica sulle prerogative parlamentari e le problematiche che oggettivamente esistono, come evidenziato anche dai tecnici del Senato, siano un’ulteriore spia della confusione che si sta creando intorno alla riforma di Palazzo Madama”.