Secondo pm e procuratore aggiunto nella sentenza ci sono "numerosi errori di fatto e di diritto". E i ritardi nella costruzione dell'inceneritore di Acerra non furono dovuti alle proteste dei cittadini ma a scelte di Impregilo. L'assoluzione con formula piena, decisa dal Tribunale a novembre, mette a repentaglio altri filoni di indagine originati dall'inchiesta madre sulla gestione del commissario Bassolino e l'assegnazione dell'appalto
Gli anni di emergenza rifiuti a Napoli hanno ferito profondamente l’immagine della città e lasciato in eredità 7 milioni di tonnellate di “balle” di spazzatura stoccate in diverse aree della regione oltre a sprechi e inefficienza. Tutto questo non ha ancora nessun responsabile. Il Tribunale partenopeo, lo scorso novembre, ha mandato assolti con formula piena i manager di Impregilo, la società che si era aggiudicata l’appalto per gestione del ciclo, e i vertici del commissariato di governo a partire da Antonio Bassolino (commissario dal 2000 al 2004). Nelle settimane scorse contro la sentenza di assoluzione la Procura di Napoli – pm Paolo Sirleo e procuratore aggiunto Nunzio Fragliasso – ha presentato un ricorso di oltre 900 pagine. L’assoluzione, infatti, potrebbe avere conseguenze anche su altri filoni di indagine originati dall’inchiesta madre. Ma non è solo l’effetto domino a muovere il ricorso dei pm. Per la pubblica accusa, nella sentenza di assoluzione “si devono evidenziare i numerosi errori, di fatto e in diritto”. Il collegio giudicante, secondo la procura, ha accolto “la totalità delle tesi difensive in maniera pressoché passiva e acritica” trascurando le “numerosissime prove raccolte nel corso dell’attività dibattimentale”.
Il caso dell’inceneritore di Acerra e i ricordi di Gianni Letta – L’appello ricostruisce ogni passaggio della gestione commissariale, dall’assegnazione della gara a Impregilo fino alla risoluzione del contratto, passando per la famosa lettera dell’Abi che giudicava antieconomica la raccolta differenziata. Si parte da una vicenda centrale: i ritardi nella costruzione dell’inceneritore di Acerra. La sentenza di assoluzione li addebita alla protesta dei cittadini e alla contrarietà delle istituzioni locali che avrebbero, nei fatti, causato il blocco del sistema di gestione. Una vicenda che secondo la Procura non è stata valutata considerando gli elementi di prova emersi. E di elementi ve ne erano numerosi. L’aggiudicataria non aveva la disponibilità dei terreni, acquisiti solo nel 2002, a due anni dal progetto esecutivo. Quindi i primi due anni e mezzo di ritardo sono tutti causati dall’azienda.
Non solo. Nell’area individuata, chiamata Pantano, la falda acquifera superficiale ha ritardato ulteriormente l’avvio della costruzione dell’impianto. La Procura scrive, con una punta di ironia: “Non si può assumere che il clero, la politica, la magistratura e la camorra abbiano clandestinamente apposto, eludendo abilmente i controlli della polizia, una falda acquifera”. Insomma: le manifestazioni non hanno avuto alcun ruolo nel disastro gestionale di Fibe-Impregilo. “Si vorrebbe tradurre – scrivono nell’appello i pm – in ‘ostacolo’ concreto alla costruzione del termovalorizzatore il mero dissenso, il pensiero contrario alla stessa”. Secondo la procura c’è solo la generica apposizione di ricordi di alcuni testimoni. Come quelli di Gianni Letta che spiegò, in aula, di aver anche contattato Fausto Bertinotti ‘per ridurre le manifestazioni di protesta’, “queste ultime ancora una volta”, scrive la procura, “non specificate nel tempo, numero, luogo, modalità”.
Le discariche? Stesso film – Anche sul fronte discariche, la procura contesta la sentenza del Tribunale di Napoli secondo la quale i rifiuti non trovarono destinazione per la mancata realizzazione di discariche a causa delle ostilità ideologiche e anche di rappresentanti istituzionali. Il ricorso dei pm ribalta questo assunto. I rifiuti, in uscita dagli impianti di Cdr, solo in parte dovevano finire in discarica. In assenza di siti, sarebbe stata Fibe-Impregilo a doversi fare carico dello smaltimento. Non solo. La Procura ‘censura’ il ragionamento probatorio della sentenza definendolo ‘disorganico e insufficiente” e chiarendo, invece, attraverso riferimenti testimoniali come ci fosse un accordo tra Fibe e commissariato per individuare, solo sulla carta, siti di discarica al fine di rassicurare le banche finanziatrici del progetto. Discariche individuate e autorizzate, ma mai costruite. Insomma da una parte il Tribunale che addebita a popolazioni, comitati e sindaci l’ostilità e il blocco del ciclo di gestione, dall’altra la procura che nell’appello scrive: “Ostilità per le quali non sarà mai sufficiente rimarcare la totale assenza di costrutto logico” addebitando a Fibe un “lucido e cinico perseguimento del profitto a costo di pregiudicare irreversibilmente il territorio campano e la salute dei cittadini”. I reati contestati sono truffa, frode in pubbliche forniture e falso.
La Procura ha depositato l’appello con l’obiettivo di ottenere una sentenza di prescrizione in luogo dell’assoluzione con formula piena decisa in primo grado. In questo modo la pubblica accusa eviterebbe conseguenze anche sugli altri processi che hanno tratto origine dall’inchiesta madre.
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