La donna, 27 anni, liberata su ordine di un tribunale di Khartum. Cristiana ma figlia di padre musulmano, nonostante le imposizioni dei giudici, non ha rinunciato alla sua religione. Anche suo marito è cristiano e, in base alla sharia, i figli nati dalla loro unione sono considerati illegittimi e frutto di adulterio
“Meriam è libera, l’hanno rilasciata e ora sta tornando a casa”. L’avvocato Elshareef Ali conferma la liberazione di Meriam Ibrahim, la donna cristiana di 27 anni condannata a morte in Sudan per apostasia. Oggi la sentenza è stata annullata dalla Corte d’appello. “Siamo molto felici e ora stiamo andando da lei”, ha aggiunto il legale. La notizia, diffusa dai media di Khartum, è stata riferita da Antonella Napoli dell’associazione Italians for darfur, che riportava un messaggio di Khalid Omer Yousif, presidente dell’ong Sudan chance now. Da giorni era stato annunciato che la liberazione sarebbe stata imminente, come aveva confermato alla Bbc è il sottosegretario agli Esteri sudanese Abdullahi Alzareg, secondo il quale il Sudan garantisce la libertà religiosa e si preoccupava di proteggere la donna.
Meriam, cristiana, madre di un bambino e all’epoca incinta di otto mesi (ha poi partorito in carcere), era stata condannata a morte con l’accusa di apostasia. I giudici avevano inoltre stabilito che la donna dovesse subire cento frustate per aver commesso adulterio, visto che il suo matrimonio con un uomo cristiano non è riconosciuto valido in base alla sharia (diritto islamico). I giudici avevano dato tre giorni alla donna per rinunciare alla sua fede cristiana, ma in aula, dopo un lungo colloquio con un religioso musulmano, la donna aveva affermato: “Sono cristiana e non ho mai commesso apostasia”.
Meriam, laureata in fisica, è sposata con Daniel Wani, un sud-sudanese cristiano. Lei è invece sudanese e nel suo paese è considerata musulmana, perché nata da un padre musulmano. In base alla sharia, una donna musulmana non può sposare un uomo di un’altra fede e i figli nati dalla loro unione sono quindi considerati illegittimi e frutto di adulterio. Per salvare la giovane è stata lanciata una campagna internazionale, alla quale ha contribuito, tra gli altri, l’ong Italians For Darfur. Anche molte ambasciate in Sudan si sono esposte, rivolgendo appelli alle autorità locali.