Finalmente una buona notizia: il teatro di Dario Fo è tornato in tv. Dopo solo quindici anni dalla sua realizzazione – guarda caso proprio durante il pontificato di Bergoglio – la Rai si è accorta dell’esistenza di una pièce intitolata “Lu Santo Jullàre Françesco”. Quale migliore occasione per puntare su un brand vincente come quello di “Francesco”, deve aver pensato qualcuno. E infatti, con una piccola modifica – che tanto chi vuoi che se ne accorga – il titolo della suddetta opera di Fo, muta per l’appunto in “Francesco” con “Lu Santo Jullare” sottoscritto in piccolo a mo’ di didascalia. Ed ecco che il prodotto era bello e pronto per essere dato in pasto al grande pubblico.
Fin qui tutto bene, se non fosse che quel pubblico non è stato poi così grande come ci si poteva legittimamente immaginare. Infatti, domenica scorsa, con circa due milioni di spettatori, il nostro Premio Nobel riesce a perdere la partita dell’Auditel persino contro Marco Ponti, il meno noto regista di Ti amo troppo per dirtelo – film tv trasmesso in contemporanea da Canale 5.
Eppure gli autori di Rai Uno non hanno lasciato nulla d’intentato: il gruppo dei teenagers, disposti ad arte nelle prime file dell’Auditorium Rai di Napoli, ha fatto il paio con la partecipazione della popstar anglo-libanese Mika, allo scopo di attrarre i telespettatori più giovani; lo “spot” su papa Francesco, eseguito fuori copione dallo stesso Fo – che perdoniamo solo in virtù dell’antico adagio “Parigi val bene una messa”; l’alta definizione; un’unica interruzione pubblicitaria. Nulla di tutto questo ha convinto la massa dei teleutenti a orientarsi per una volta sulla cultura. Pazienza. Siamo comunque tutti concordi con il regista Felice Cappa, il quale in conferenza stampa dichiarava: “Vale la pena pagare il canone per queste cose”. Certo che sì. Anche se, tenendo conto dei centotredici euro annui di canone Rai, tanto valeva andare a vederlo dal vivo. Avremmo risparmiato. Salvo che, la logica proposta dal regista Cappa, preveda una sorta di proprietà transitiva per cui, se è vero che una bella trasmissione vale da sola l’intero ammontare dell’imposta televisiva, deve essere vero anche che venerdì 27 giugno, quando sulla stessa rete Rai andrà in onda “Una voce per Padre Pio” – la kermesse musical religiosa condotta da Massimo Giletti – quei centotredici euro ci saranno restituiti, con tanto di scuse.
Al “maestro” Fo, va il mio personale ringraziamento per aver disatteso il tanto previsto quanto prevedibile confronto fra Bergoglio e San Francesco. L’introduzione sul papa argentino è stata tutto sommato tollerabile, condivisibile, totalmente avulsa dalla narrazione seguente, e soprattutto breve: ha occupato all’incirca lo spazio di una televendita. Malgrado ciò, l’attore lombardo ha rischiato di deludere il suo pubblico più anticlericale poiché, seppur per pochi minuti, pareva essersi trasformato nel testimonial del Vaticano. Tuttavia, è lui stesso a mettere in chiaro le cose, dichiarando che coloro i quali ritengono l’ascesa di Bergoglio un’operazione di marketing sono vittime di un ragionamento superficiale. Per dirla con le sue stesse parole: “…persone disattente e anche un po’ stupide”.
Ma ecco che finalmente lo spettacolo parte, sfiga vuole che ciò accada nel preciso istante in cui la maggioranza dei telespettatori ripiega sulle fiction di turno. Ma non importa. Quel che conta è che alla fine l’attore ritrova se stesso. Nei suoi occhi si riaccende quel desiderio di raccontare che lo accompagna fin dai prodromi della sua fortunata carriera, e appare persino ringiovanito, quando con le sue giullarate ai danni di papa Innocenzo III, ci restituisce il Fo di sempre, a metà strada fra sacro e profano. Forse un po’ meno profano del solito, ma pur sempre un “mostro sacro” del teatro italiano.