Non è trapelato molto nei giornali nazionali di quanto, una Procura periferica dell’Abruzzo (Chieti), ha scoperto in merito al grande accusatore di Ottaviano Del Turco, tal Vincenzo Maria Angelini. Eppure, se la cosa avesse un seguito, potrebbe squadernare la sentenza di condanna che, in primo grado, ha bastonato il combattivo sindacalista.
La procura avrebbe scoperto conti, rigorosamente offshore nella solita isoletta caraibica, riconducibili ad Angelini e alla di lui moglie. Una somma consistente e strabiliante che la Procura sostiene essere frutto della sistematica spoliazione delle imprese di famiglia.
Se così fosse, la questione delle accuse e della dazioni in contanti per milioni di euro portate a Del Turco e ai suoi sodali, verrebbe a ricomporre un quadro d’insieme fragile nella sua impostazione proprio per la assenza, anche nelle ricostruzioni della Guardia di Finanza, di un improvviso arricchimento del politico socialista e di danaro mai rinvenuto.
Orbene, le considerazioni giuridiche le lasciamo al processo di appello. Quelle politiche possiamo azzardarle. Se risultasse che Del Turco non si è mai prestato ad episodi di corruzione, lo abbiamo detto e scritto, nessuno potrai mai risarcire il politico e i suoi elettori dal terremoto avvenuto. E sempre se risultasse tutto ciò, pur in assenza di dolo o colpa grave, serie domande sulla Procura e sul Tribunale di Pescara sarebbero da porsi. Perché è un fatto che in merito alla credibilità dell’accusatore Angelini dovessero sorgere molteplici dubbi e che, esercitando l’arte difficile del dubbio, fosse doveroso domandarsi se Angelini, come spesso accade nelle aule giudiziarie, accusava altri per salvare più che se stesso, un tesoro accumulato.
Per non lasciare ombre, sospetti, retropensieri l’accertamento su un accusatore non dovrebbe lasciare questioni insolute. E sicuramente insoluta era la questione del perché Angelini, dai conti non in ordine, improvvisamente avesse accusato i politici dopo avere negato dazioni od altro. Oggi Chieti apre ad una possibile (se provata) risposta che mi auguro possa, in futuro, risarcire in sede di appello una sentenza che, letta e riletta, lasciava irrisolte molte questioni.
Ridare l’onore ad un uomo accusato ingiustamente è cosa di cui avvertiamo, credo tutti, un enorme bisogno. Rimaniamo in serena attesa.