L'Europa non deve essere un luogo "in cui si vive di codicilli, cavilli e vincoli". "Kafkiana" la procedura di infrazione per il mancato pagamento dei debiti della pa mentre "il patto di stabilità impedisce di saldarli". Il presidente del Consiglio parla al Parlamento in vista del vertice europeo di giovedì e venerdì e anticipa le linee programmatiche. L'orizzonte temporale si dilata e per conoscere i punti dell'agenda bisognerà aspettare settembre
Un nuovo pacchetto unitario di riforme. Forte del quale l’Italia si presenterà, l’1 luglio, alla guida del semestre di presidenza dell’Unione europea. Un programma che dovrebbe tener dentro riforma del fisco e della pa, progetti infrastrutturali e interventi sui diritti, misure per l’agricoltura e novità nel campo del welfare. Ma i tempi si dilatano: 1000 giorni, contro i 100 della prima, ottimistica “agenda” presentata a marzo. Matteo Renzi lo ha annunciato durante le comunicazioni alla Camera e al Senato in vista del Consiglio europeo del 26 e 27 giugno e una settimana prima di assumere la guida del Consiglio dell’Unione europea. Il cronometro, dunque, viene azzerato. E il premier che ha puntato tutto sugli annunci scadenzati, incappando in molte occasioni in significativi slittamenti rispetto alle promesse, stavolta “dopo i primi 100 giorni più o meno scoppiettanti” (parole sue) preferisce mettere le mani avanti e ammettere che il calendario completo sarà pronto dopo l’estate, “entro l’1 settembre”.
Solo allora sapremo nel dettaglio quali saranno i contenuti del programma triennale – da settembre 2014 a fine maggio 2017 – sul quale Renzi intende “sfidare il Parlamento”. In una logica comunque “propositiva”, con l’obiettivo di “cambiare il Paese” e “riportare l’Italia a fare l’Italia”. Un Paese che non deve più “farsi dettare l’agenda da un soggetto esterno”. Basta compiti a casa e “raccomandazioni”, insomma. Il riferimento è alle indicazioni della Commissione Ue arrivate il 2 giugno. Per le quali il presidente del Consiglio ironicamente “ringrazia” ma solo per cogliere l’occasione di dire che in questo momento sono i Paesi membri che devono “dare raccomandazioni alla Commissione” sul futuro dell’Europa. Quanto all’Italia, le riforme “le facciamo non perché qualcuno ce lo chiede da fuori: ci serve una pa più semplice non per seguire quello che dice un “signor no” in Europa ma perché i cittadini non debbano prendere una giornata di ferie per fare un certificato”.
L’Europa è terra di utopia, l’Italia ha recuperato autorevolezza – Il cuore del discorso di Renzi dovrebbe essere proprio il programma dell’Italia per il semestre durante il quale guiderà la Ue, ma le indicazioni concrete scarseggiano. Il premier parte ricordando al Consiglio europeo e al semestre di presidenza che “l’Italia porterà la propria voce con grande determinazione e convinzione”, sarà “un’Italia forte non per il risultato elettorale ma perché è consapevole della propria qualità, della qualità dei propri imprenditori e lavoratori”. Finora ci è mancata, per sentirci protagonisti del processo europeo, “non l’autorevolezza ma l’autostima”. Fase terminata, secondo Renzi: ora “non accettiamo nessuno lezioni di democrazia e democraticità” e non vediamo più nell’Europa “il luogo delle autorizzazioni”, “in cui si vive di codicilli, cavilli e vincoli”. “L’Europa è il luogo dell’utopia – ha detto poi in Senato – in considerazione del fatto che aver scelto di costruire 70 anni di pace, deriva dall’aver scelto la pace in luogo della guerra”. «Oggi l’Italia è più forte», ha proseguito Renzi, anche perché «ha recuperato autostima e autorevolezza per sedersi ai tavoli Ue: ci presentiamo con l’umile consapevolezza, la coriacea determinazione, di poter dire qualcosa».
Il “metodo” italiano: “Prima decidiamo dove andare, poi chi guida” – Per questo dal vertice di Ypres di giovedì e venerdì – “simbolico che questo primo Consiglio si svolga in un luogo dove si è combattuto”, dice Renzi – deve uscire un “accordo complessivo”: non solo una serie di nomine come “mera presa d’atto di ciò che è accaduto alle elezioni” ma le linee strategiche di sviluppo della Ue di qui al 2019. Ovvero proprio il metodo per cui l’Italia “ha lavorato in questi giorni”: “Prima decidiamo dove andiamo, poi chi guida”, è il riassunto del presidente del Consiglio. Anche perché dal voto europeo è emersa una forte distanza dei cittadini dall’Europa e dalla sua politica economica a causa della quale “abbiamo posizioni nel mondo”. Un “gap di democraticità” che non si colma “indicando Juncker o un altro come presidente della Commissione: chi lo pensa vive su Marte”. “Da questo punto di vista il passaggio di giovedì sera sarà significativo se le nomine (dei nuovi vertici europei, ndr) saranno conseguenza delle idee”.
“O si cambia direzione o non c’è possibilità di sviluppo e crescita” – Quel che serve, anche all’Europa, è una svolta: “Noi non vogliamo inganni, rispettiamo le regole, ma dobbiamo dire che o l’Europa cambia la propria direzione di marcia o non esiste la possibilità di sviluppo e crescita. Senza una diminuzione del numero di disoccupati e la capacità di creare ricchezza non ci sarà stabilità”. L’inversione di marcia non richiede, sul fronte economico, un cambio delle regole europee, ma solo “l’utilizzo dei margini di flessibilità che già ci sono e sono a disposizione dei paesi membri”. L’Italia va a Bruxelles, ha ribadito poi Renzi durante le comunicazioni in Senato, puntando sui “un pacchetto di riforme puntuale, specifico, legato a visione di insieme, che sia in grado abbracciare la legislatura e chiedendo in cambio un riconoscimento di quella flessibilità che sta dentro le regole Ue”. Ovvero: «Se c’è un pacchetto di riforme credibili le regole europee consentono, impongono di aiutare lo sforzo riformatore dei Paesi che hanno voglia di stare nella dinamica di crescita e sviluppo».
Stoccata alla Germania: “Nel 2003 sforò il tetto del 3%, noi non vogliamo farlo” – Ed ecco la stoccata ad Angela Merkel, che pure solo lunedì per bocca del suo portavoce ha aperto a una maggiore flessibilità del rispetto dei vincoli di bilancio: “Noi non chiediamo di violare la regola del 3%, a differenza della Germania e dalla Francia” nel 2003, ma “come la Germania di allora vogliamo smettere di vivere l’elenco di raccomandazioni come una lista della spesa che ci capita tra capo e collo”. Non possiamo continuare, attacca Renzi, a “vivere in una logica kafkiana per cui l’Europa ti fa una procedura di infrazione perché non hai saldato i debiti alle imprese e contemporaneamente ti impedisce con il patto di stabilità di saldare quei debiti. Assomiglia a un film dell’orrore”.
“Immigrazione, chiediamo al Parlamento il mandato per cambiare la politica Ue” – Ce n’è poi anche per la politica europea sull’immigrazione: “Un’Europa che ci dice tutto nel dettaglio su come pescare il tonno o il pesce spada ma quando nel mare ci sono i cadaveri si volta dall’altra parte non è degna di chiamarsi Europa di civiltà. O noi accettiamo un destino e dei valori in comune o perdiamo il ruolo dell’Europa davanti a se stessa”. E da un’Europa simile l’Italia si chiamerebbe fuori: “Se di fronte alle tragedie dell’immigrazione dobbiamo sentirci dire ‘questo problema non ci riguarda’, allora tenetevi la vostra moneta ma lasciateci i nostri valori”. Il premier è tornato sull’argomento anche durante il suo intervento in Senato: “Dobbiamo considerare il Mediterraneo come un luogo dell’Europa e non come un luogo di qualche Stato membro. La civiltà di andare a salvare vite umane non può essere appannaggio di un solo Stato. Chiediamo al Parlamento un mandato per chiedere di cambiare la politica di immigrazione in Europa”.
Il pacchetto di riforme e la “sfida” al Parlamento – Ma la seconda parte dei 45 minuti di monologo di Renzi è tutta dedicata a questioni interne: “Se non siamo riusciti a spiegare l’orizzonte d’insieme delle riforme me ne assumo la responsabilità”, dice il premier, ricordando le critiche sul fatto che “manca una cornice complessiva, un quadro unitario, come se mettessimo dei pezzi del puzzle a caso”. Per il governo la cornice è al contrario “molto chiara”: di qui la decisione di mettere insieme un pacchetto unitario che chiarisca tutti i prossimi passaggi un arco temporale “ampio, quasi triennale”, sul quale appunto “sfidiamo il parlamento”. Perché, aggiunge Renzi rivolgendosi ai deputati, “la nostra legittimazione non deriva dal voto ma dal parlamento, e se volete potete mandarci a casa domani mattina”. Ma la richiesta è, invece, quella di raccogliere il guanto di sfida del governo e utilizzare i prossimi tre anni per “rendere migliore il Paese”.