Il gruppo euroscettico e nazionalista di Marine Le Pen non ha i numeri per formarsi. I deputati del Front National, della Lega Nord, gli olandesi del Pvv, gli austriaci del Fpo e i belgi del Vlaams Belang, piombano così nel limbo dei non iscritti. “Preferiamo rimanere fedeli ai nostri valori”, dice il portavoce della Le Pen. Qualche ora fa a Bruxelles la rottura con il partito polacco Kongres Nowej Prawicy, ma agli euroscettici mancava già un pezzo per arrivare alla soglia minima di sette partiti prevista dal regolamento europeo. Intanto si è formato il gruppo Efdd, Europa della Libertà e della Democrazia diretta, costituito intorno all’Ukip e al M5S: i due copresidenti sono Nigel Farage e l’eurodeputato grillino David Borrelli. E, nel primo giorno di riunione ufficiale, fa sapere che non accetterà l’ingresso di partiti politici che non sono riusciti nell’obiettivo insieme al Fn francese, come la Lega Nord. Ma è pronto ad accogliere eventuali fuoriusciti dall’Ecr, il gruppo dei conservatori e riformisti. Farage ha preferito non commentare la mancata formazione del gruppo di Marine Le Pen, ma ha sottolineato che “non ci sarà nessuna possibilità per altri partiti” alleati con il Front National “di venire con noi”. Piuttosto, ha continuato, “mi aspetto che non tutti si trovino bene nell’Ecr, che è un gruppo con contraddizioni politiche molto grandi. Mi aspetto che entro Natale qualcuno esca”.
Gli euroscettici del Front national ostentano tranquillità. “Preferiamo non avere un gruppo perché vogliamo un progetto politico stabile, non un gruppo ad ogni costo”, spiega al ilfattoquotidiano.it il portavoce di Marine Le Pen. “Per questo ieri abbiamo rifiutato la delegazione polacca, abbiamo preferito la qualità politica e la fiducia”. Sta di fatto che il non aver formato un gruppo politico entro oggi (24 giugno) si traduce nell’esser tagliati fuori dall’attribuzione di presidenze e vice presidenze delle commissioni parlamentari, in scarsi poteri sul processo legislativo parlamentare (dossier, presentazione di emendamenti e tempo di parola) nonché in nessun finanziamento europeo.
Esclusi i polacchi in extremis. Già ieri in serata, il leader del Partito della Libertà (PVV) olandese, Geert Wilders, aveva scartato la possibilità di accettare il partito polacco Kongres Nowej Prawicy, accusato di anti semitismo e aperta misoginia, definendo questa alleanza “un ponte troppo lungo”. Ma per soddisfare i requisiti del Parlamento europeo (almeno 25 deputati provenienti da almeno sette Paesi membri), al fronte euroscettico mancava già un pezzo, e sul mercato le alternative erano ormai poche: ad oggi restano senza gruppo Jobbik (Ungheria), Bulgaria senza censura (Bulgaria), Partito Nazionaldemocratico Tedesco (Germania), Partito comunista greco e Alba dorata (Grecia), Partito Unionista Democratico (Regno Unito) e l’indipendente Mircea Diaconu (Romania).
Inevitabile l’attacco all’eurodeputata francese Joelle Gergeeron Guerpillon, che ha abbandonato il partito del quale faceva parte da quarant’anni solo due giorni dopo le elezioni europee e che ha aderito all’altro gruppo euroscettico di Nigel Farage permettendone così la formazione. “Si tratta di una persona instabile che probabilmente aveva premeditato il suo addio prima delle elezioni. Non vorrei essere al posto di Farage”, dice il portavoce della Le Pen.
Il non aver costituito un gruppo entro il 24 giugno, taglia fuori i deputati del FN, della Lega e delle altre formazioni euroscettiche dall’attribuzione di cariche e dossier al Parlamento europeo ma lascia aperta la possibilità di ricevere i relativi finanziamenti qualora il gruppo venga creato in un secondo momento. Secondo il think thank britannica Open Europe, all’ipotetico gruppo della Le Pen potrebbero andare circa 22 milioni di euro in 5 anni. Nel dettaglio si calcolano circa 2 milioni e 975mila euro annui per la creazione e l’attività del gruppo; poi circa 896mila euro per il relativo partito europeo (European Alliance for Freedom) e altrettanti 572mila euro per una correlata think thank. Insomma un totale di circa 4 milioni e 443mila euro l’anno, il che fa più o meno 22 milioni per l’intera legislatura 2014-2019. Questi fondi possono coprire fino all’85 per cento delle spese ammissibili di un partito, mentre il resto deve essere coperto da risorse proprie quali quote di adesione e donazioni. Tra le spese ammissibili ci sono riunioni e conferenze, pubblicazioni, studi e pubblicità, spese amministrative, spese per il personale e spese di viaggio.
Nonostante il flop di oggi, il Segretario della Lega Nord ed eurodeputato Matteo Salvini in un post su Facebook invita a non mollare: “Mi spiace che a Bruxelles non siamo ancora riusciti a formare un gruppo con le sette nazionalità previste, evidentemente non tutti hanno il coraggio di sfidare i poteri davvero forti di finanza, banche e massoneria, ma noi non ci arrendiamo, anzi combatteremo ancora più convinti”. Eppure, appena poche ore prima, Mario Borghezio, decano della Lega Nord al Parlamento europeo e riconfermato, si diceva “fiducioso” di trovare al fotofinish il rappresentante del settimo Paese, l’ultimo necessario per formare il gruppo. Va ricordato che nella passata legislatura la Lega Nord faceva parte del gruppo Efd di Nigel Farage, posto oggi ereditato dal M5S.