Tre giornalisti sono in carcere in Egitto per aver commesso un grave crimine: hanno scritto notizie vere. Il reato è che avevano commesso è stato uno solo: documentare le violenze durante gli scontri e le manifestazioni di piazza contro il presidente Mohamed Morsi. Sono stati condannati a 7 anni da un tribunale egiziano con l’accusa di aver fiancheggiato i terroristi. La verità è che al capo del governo di quel paese c’è un ex generale, arrivato al potere grazie a un colpo di Stato. E quel generale può decidere di ingabbiare qualcuno perché il suo lavoro gli dà fastidio.
Guardando queste immagini mi viene però da pensare: che differenza c’è con il caso di Julian Assange, il capo di Wikileaks accusato di aver rivelato e pubblicato file scomodi, ancora prigioniero all’Ambasciata dell’Ecuador di Londra. Lo so, lo so, lui è accusato di molestie sessuali, ma dietro ci sono maneggi più grandi, come ben sappiamo (se lo estradano in Svezia, non verrà processato lì per le molestie ma finisce diritto diritto a Guantanamo). Assange è un traditore o un eroe?
E come mai anche Edward Snowden, che dovrebbe essere una sorta di eroe della libera informazione, non è libero di circolare per il mondo? Per gli americani è un traditore della patria, colpevole di aver rivelato i dettagli del programma segreto di sorveglianza di massa attuati dal governo americano e britannico tramite la National Security Agency (Nsa) nel cosiddetto Datagate. Glenn Greenwald, il giornalista del Guardian che ha spalleggiato Snowden pubblicando le sue rivelazione nel giugno dell’anno scorso, ha preferito andare a vivere in Brasile con il suo compagno, perché in Inghilterra non tirava buona aria per lui. I cronisti del Guardian (e del Washingotn Post), autori degli scoop sul Datagate, hanno vinto quest’anno il premio Pulitzer, il riconoscimento giornalistico più importante e famoso del mondo. Quindi loro sono degli eroi, ma per qualcuno rimangono dei traditori. E Snodwen, se lo arrestano, finisce a Guantanamo insieme ad Assange.
Tra eroi e traditori, alla fine ha sempre ragione Horacio Verbitsky, il giornalista argentino che per tutta la vita ha combattuto contro la dittatura di Videla: “Giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole si sappia; il resto è propaganda”.