La transizione libica passerà da un nuovo Parlamento. Per la seconda volta dalla deposizione del leader Gheddafi, la Libia è chiamata al voto per rinnovare i 200 i membri della Camera dei Rappresentanti che dovranno sostituire l’attuale Congresso Generale Nazionale, eletto nel luglio di due anni fa. La novità è rappresentata dai 32 seggi riservati alle donne, ma i timori degli osservatori internazionali sono concentranti soprattutto sull’instabilità generale del Paese, legata a doppia mandata ai gruppi armati che si scontrano ormai quasi quotidianamente con ciò che resta delle forze dell’ordine.
Ma come si è giunti alla nuova tornata elettorale? Lo scorso 2 giugno Ahmed Maiteeq aveva tenuto la sua prima riunione di gabinetto presso l’ufficio del governo dopo che le forze di polizia lo avevano aiutato a prendere in consegna l’edificio. Il paese nordafricano è da tre anni alle prese con una crisi politica delicatissima e il premier uscente Abdullah al-Thinni tre settimane fa aveva rifiutato di cedere il potere al Maiteeq, che a sua volta era stato eletto dal parlamento a seguito di un voto caotico. Thinni, che aveva rassegnato le dimissioni lo scorso aprile, avrebbe voluto rimanere premier fino a che il Congresso Nazionale Generale avesse messo la parola fine alla controversia.
Ma Maiteeq ha preso il potere dopo aver trasferito Thinni in un altro palazzo del governo, e dopo aver denunciato in diretta televisiva gli ennesimi scontri tra militanti islamici e forze dell’esercito scoppiati a Bengasi (con 20 morti), annunciando al Paese di essere il nuovo premier.
Il Parlamento libico è stato al centro negli ultimi sei mesi di un violentissimo scontro tra i partiti politici rivali e gli ex ribelli che si rifiutano di consegnare le armi. Una situazione che si intreccia con l’arresto avvenuto dieci giorni fa da parte dell’esercito statunitense di Ahmed Abu Khatallah, considerato il maggior sospettato per l’attentato del 2012 contro il consolato Usa a Bengasi. Ecco che, dopo quattro decenni di autoritarismo firmato Gheddafi e tre anni di scontri e instabilità, il Paese potrebbe dare continuità al tentativo avvenuto nel maggio scorso di avviare un confronto fra le parti, dopo che l’ex generale rinnegato Khalifa Haftar avviò una campagna con le forze ribelli per eliminare i militanti islamici. Poco più di tre milioni i cittadini libici aventi diritto di voto, ma il nodo è rappresentato anche dalla burocrazia che in alcune zone del Paese (sud e est) praticamente non funziona e potrebbe non assicurare i servizi primari come l’anagrafe e il ritiro dei passaporti necvessari per votare.
La grande assente nel panorama libanese a questo punto è l’Italia (e anche l’Ue) con la diplomazia, continentale e nostrana, spesso troppo passiva dinanzi ai ricatti energetici avanzati dalle milizie, e con sullo sfondo il moltiplicarsi costante dei profughi che dalle coste libiche partono proprio alla volta delle coste lampedusane. Senza dimenticare i depositi di armi che risalgono al governo di Gheddafi, da cui attingono praticamente senza controlli non solo i combattenti locali ma anche i qaedisti, i siriani, e soprattutto i terroristi e gli islamisti dello “Stato islamico dell’Iraq e del Levante”, che stanno assumendo un ruolo sempre più significativo negli scontri in Iraq.