Mentre l'inchiesta giudiziaria per l'asta Sea arriva al pettine, la girandola di indiscrezioni sui nomi dei candidati alla guida del fondo chiave per le infrastrutture italiane non si ferma. Ma nessuno pensa alla soluzione più logica e trasparente
Aveva promesso di andare in pensione a 70 anni e la scadenza, in calendario per il prossimo 3 agosto, si avvicina così come il responso del giudice sul suo rinvio a giudizio per il caso Sea. Ma più passano i giorni e più il proposito annunciato da Vito Gamberale, numero uno del fondo per le infrastrutture F2i, di cui sono sponsor la Cassa Depositi e Prestiti, Intesa e Unicredit, si allontana. Non tanto perché il manager abbia cambiato idea. Quanto piuttosto perché non c’è accordo sulla buonuscita e sul nome del successore. Due questioni legate a doppio filo dal momento che, come ricordava Libero poche settimane fa, una delle condizioni poste da Gamberale per la sua uscita è la “promozione” di un interno, tanto più che la nomina di un amministratore delegato esterno farebbe scattare il “liberi tutti” tra gli azionisti legati da un patto parasociale che prevede appunto in tal caso una clausola di recesso per i fondi presenti nell’azionariato. Un punto quest’ultimo che si ricollega a un’altra questione chiave: non è ancora stata effettuata una valutazione della liquidazione di Gamberale costituita anche da quote dei fondi e da phantom stock option con un valore che, a seconda delle stime, oscilla di decine di milioni.
Un indizio dei livelli di tensione sulla trattativa che ferve in queste settimane coinvolgendo direttamente anche i vertici delle banche azioniste, arriva dalla girandola di indiscrezioni sui nomi dei candidati alla successione che rimbalzano periodicamente sulle pagine delle cronache finanziarie dei principali quotidiani italiani. Dal canto suo Gamberale, per altro reduce dallo “sgarbo” agli azionisti bancari (Intesa Sanpaolo in testa, ma indirettamente anche Unicredit per via del rapporto azionario con Mediobanca) del tentato ribaltone in Telecom della scorsa metà di aprile, sostiene una soluzione interna ad F2i. Del resto era stato lui stesso, il 26 marzo scorso in un’intervista al Sole 24 Ore, a sottolineare l’importanza di “un progetto di successione, come insegna la best practice estera” proprio mentre annunciava la volontà di lasciare. E gli uomini che godono della sua fiducia sono due. Il vicepresidente di Metroweb, Mauro Maia, anche lui imputato nell’ambito dell’indagine per turbativa d’asta per la vendita della Sea, la società che gestisce gli scali milanesi, e l’ex Morgan Stanley, Carlo Michelini, cioè il braccio destro di Gamberale.
Intesa e Unicredit, che vorrebbero chiudere rapidamente la partita sborsando il meno possibile, puntano invece a piazzare i loro uomini. Per la banca guidata da Carlo Messina, il candidato ideale è Fabio Cané, che, ai tempi della scalata dei francesi di Lactalis sulla Parmalat, incaricato di costruire una cordata italiana per bloccare l’offensiva, fu sospettato di aver trasferito informazioni riservate alla moglie Patrizia Micucci, consigliere di Lactalis per la Société Générale. Mentre la figura che fa al caso dell’’istituto di Federico Ghizzoni è quella di Davide Mereghetti, manager Unicredit che in banca ha fatto carriera vendendo derivati al Comune di Milano e alle aziende come la Divania di Bari per il cui crac stato di recente prosciolto e che è anche consigliere di amministrazione della stessa F2i.
Sullo sfondo resta la Cassa Depositi e Prestiti, che non ha preso formalmente posizione sul successore di Gamberale e nel cui azionariato spiccano ancora una volta, accanto al Tesoro, le prime due banche del Paese e soprattutto la potente Fondazione Cariplo di Giuseppe Guzzetti che è anche socia diretta di F2i. Qui i giochi si fanno ancora più complicati, dunque. Da un lato il presidente Franco Bassanini che secondo le solite indiscrezioni di stampa, scartato l’ex ad di Poste Massimo Sarmi e l’ex direttore generale di Mps, Marco Morelli, avrebbe molto gradito Piergiorgio Peluso, il figlio dell’ex ministro Annamaria Cancellieri attuale direttore finanziario di Telecom Italia con un curriculum che spazia da Capitalia a Parmalat e Fondiaria Sai, che ne fanno un buon candidato anche per gli istituti di credito. Ma non, secondo Libero, per il premier Matteo Renzi.
A Guzzetti, invece, non dispiace affatto la recente ipotesi avanzata dal Corriere della Sera di Renato Ravanelli, attuale direttore generale della multi utility A2a e uno dei tre consiglieri indipendenti del Fondo di investimento infrastrutturale mediterraneo, Inframed, che ha fra i principali sponsor l’italiana Cassa Depositi e Prestiti, la francese Caisse des Depots e la Banca Europea degli Investimenti. A lui, sempre secondo il Corsera, si vorrebbe affiancare alla presidenza Vittorio Terzi, senior partner di McKinsey, il gruppo di consulenza che ha formato tra gli altri Corrado Passera e per il quale ha guidato l’area mediterranea per sette anni.
La partita insomma è tutta da giocare, anche se non è chiaro come mai la Cassa Depositi e Prestiti, che gestisce i risparmi postali degli italiani e con lei il Tesoro, non pretendano una procedura trasparente con il passaggio attraverso una società terza che attraverso una selezione di curricula dei potenziali candidati possa scegliere la migliore soluzione per il fondo che ha il controllo di infrastrutture chiave per il Paese che includono tra il resto Sea (aeroporti Milano), Sagat (Aeroporti Torino), Gesac (Aeroporti Napoli) e Metroweb. Senza conflitti di interesse.