Parleremo delle responsabilità di Abete e della Federazione, o più in generale del governo del calcio sulla doppia eliminazione al primo turno dalle ultime due edizione della World Cup e parleremo della gestione Prandelli di queste 3 partite. A suo tempo, oggi è il day after di Italia-Uruguay e sugli errori commessi in questa gara vorrei soffermarmi.
La premessa che ha determinato la nostra eliminazione nasce dall’opportunità di poter usufruire di due risultati su tre, il pareggio oltre alla vittoria. Così come era già accaduto contro la Costa Rica. La prudenza si è, sin dai primi minuti, trasformata in passività. Il possesso palla è diventato melina, la tecnica nel palleggio un orpello narcisistico senza nessuna efficacia offensiva.
Prandelli decide di rinunciare alla sua impostazione tattica rifugiandosi alla difesa a 3 “contiana”, invocata da mezz’Italia e anche dal sottoscritto, ma gli esterni Darmian e De Sciglio, giovani e confusi, non sono mai né bassi, per coprire le fasce, né alti, per dare sostegno all’azione. Rodriguez, interno del centrocampo della Celeste, si butta spesso con buon istinto alle spalle di Darmian costringendo Barzagli ad uscire dal fortino. Lodeiro, interno opposto, quando segue l’azione non è seguito dai nostri centrocampisti, come avrebbe fatto De Rossi. Così ci accorgiamo dopo pochi minuti che il blocco juventino che avrebbe dovuto darci l’uomo in più rispetto ai temuti Cavani-Suarez è al contrario sovente in inferiorità numerica, anche perché la diagonale del quinto opposto (De Sciglio) è sempre tardiva (fig. 1).
La coperta è corta anche in fase di possesso palla. Non si può parlare propriamente di fase offensiva non avendo mai cercato veramente di proporre qualche azione d’attacco. Abbiamo pascolato sistematicamente nella nostra metà campo ruminando passaggi orizzontali solo al fine di innervosire l’avversario e indurlo all’errore (dandogli di fatto fiducia e forza interiore) ma mai per guadagnare metri e provare a servire gli attaccanti. Neanche nelle transizioni abbiamo mai avuto il coraggio di ripartire con qualche centrocampista, non dico coi difensori, sarebbe stato un reato di lesa maestà (fig. 2).
Così Balotelli e Immobili si sono presto immelanconiti nel loro isolamento oltre la linea Maginot. Il primo tempo, di una bruttezza senza pari nella competizione mondiale in corso, evidenziava oltre alle nostre paure e presunte furbizie anche la pochezza dell’avversario, incapace, come già nelle precedenti gare di fare tre passaggi di fila e di attivare i suoi rinomati attaccanti.
In tanta miseria tecnica, tattica e atletica però Tabarez alcune cose le ha azzeccate. Ha contrapposto ai nostri lo stesso sistema di gioco (3-5-2) sapendo che avrebbe potuto vincere solo bloccando la partita e puntando su alcuni episodi, guizzi degli attaccanti o calci piazzati, come dargli torto? Inoltre ha piazzato Suarez sulla tracce di Bonucci e Cavani a uomo su Pirlo, costringendo di fatto l’Italia a palleggiare con piedi più ruvidi a disposizione Chiellini e Barzagli. Niente di geniale ma quanto è bastato a mandarci in tilt.
La palla gol sventata da Buffon su Suarez, prima dalla spallata finale di Godin, ha dato comunque la forza al capitano di sparare, alzo zero, nella flash interview a bordo campo, su Mario Balotelli. Un capro espiatorio troppo comodo e difatti comodamente utilizzato a breve giro di posta anche da De Rossi. Balotelli non merita difese d’ufficio ma sparare sul cadavere è veramente uno sport troppo facile.
Il forcing finale ha dimostrato che avevamo nel nostro repertorio energie e soluzioni tecniche spendibili prima, molto prima del gol di Godin.
Chiudo sul morso di Suarez. Pensiamo sempre di essere i più furbi, ma di fatto passiamo spesso da coglioni. Chiellini ha rantolato a terra più volte nel corso della partita, simulando infortuni drammatici, perdita di sensi, traumi cranici o menomazioni permanenti ad ogni contatto fisico con l’avversario. A forza di urlare “al lupo! Al lupo!” quando il Cannibale è arrivato per davvero nessuno gli ha creduto. Alla fine il bello del calcio è c’è sempre una morale a cui possiamo attingere.