Proprio dalla Svezia, uno dei paesi al mondo più all’avanguardia nel percorso delle politiche di genere parte l’allarme: nonostante i controlli sui viaggi estivi nei paesi d’origine (sui quali da anni grava il sospetto che siano programmati per effettuare la pratica mutilante, proibita in Europa) almeno una sessantina di bambine, al rientro a scuola, sono state trovate vittime di infibulazione, la criminale pratica di escissione del clitoride, con devastanti conseguenze psicofisiche e sessuali perenni.
A ondate il problema emerge e si inabissa: da una parte provocando impennate allarmiste dei gruppi e partiti xenofobi ai quali nulla importa delle donne, dall’altra surreali distinguo da parte di intellettuali che, in base al principio multiculturale di ‘accoglienza’ delle differenze dimostrano la loro fede anticoloniale con l’abbraccio del relativismo culturale, e chi se ne importa se le tradizioni da rispettare annientano le donne. Esattamente dieci anni fa, mentre scrivevo per il settimanale Carta, in Italia scoppiò il caso: il ginecologo Omar Abdulkalil del Centro regionale contro le mutilazioni femminili nell’ospedale di Careggi propose un ‘rito alternativo’ all’escissione: una puntura di spillo preceduta da una leggera anestesia sul clitoride.
“Si salva il rito con una pratica indolore e non dannosa”, spiegò. Seguì il vespaio: l’assessorato alla salute fece un passo indietro (chissà se lo avrebbe fatto sulla proposta relativista di applicazione della pena di morte, per i reati commessi da cittadini residenti in Italia provenienti da paesi dove vige la pena capitale) e mandò la proposta all’ordine dei medici e al comitato regionale di bioetica. Tranne la mia e quella immediata di Giuliana Sgrena si susseguirono sulla stampa prese di posizioni assai possibiliste. Ci fu anche chi, per pari opportunità e cogliendo l’occasione per mettere in ombra il tema femminile, invocò proteste per la circoncisione di ebraica tradizione. Come a dire: le donne si lamentano, ma che facciamo per i poveri bambini ebrei mutilati? Dimenticando, o ignorando, che il taglio del frenulo nel pene non è una mutilazione, (anche se può essere vissuto non positivamente e sarebbe giusto disporre del proprio corpo da adulto, a prescindere dalla religione) ed è praticato per migliorare le funzionalità igienico sessuali maschili, non per annientarle come nel caso delle mutilazioni genitali femminili, che appunto si chiamano mutilazioni.
In Italia due anni dopo fu approvata la legge 9 sulla prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile, ma nel 2010 operatrici attive in regioni evolute come l’Emilia Romagna denunciavano una possibile sotterranea e tollerata riemersione della pratica: le falle istituzionali che si aprono sul fronte dell’inviolabilità dei copri delle donne e delle bambine iniziano quando si tentenna di fronte alle richieste di ‘visite’ di controllo della verginità della futura sposa, fino appunto a pensare alla puntura simbolica come ad una possibilità concreta. Le mutilazioni dei genitali femminili sono una pratica tradizionale africana, non necessariamente legata all’Islam, consistente nell’ablazione della clitoride (clitoridectomia) e delle piccole labbra (escissione) mentre nella forma più cruenta, l’infibulazione, prevede anche la sutura delle grandi labbra in modo da lasciare solo una piccola apertura per il flusso del sangue mestruale e dell’urina, con enormi problemi sanitari anche e soprattutto al momento del parto. Nei paesi africani questa pratica, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità coinvolge almeno 135 milioni di ragazze e bambine e ogni anno se ne aggiungono altri due milioni: all’interno delle comunità di immigrati è vista come atto concreto di resistenza alla cultura occidentale.
La domanda provocatoria della studiosa Susan Moller Okin “Il multiculturalismo danneggia le donne?” (suo un lungo saggio del 1997 sulle trappole insite nell’assunzione acritica delle tradizioni culturali e religiose) è ancora attualissima. Un misto di ignoranza, desiderio di potere e controllo sulla sessualità femminile, (si arriva persino a manipolare le bambine inducendo loro a pensare che se non sono mutilate non sono belle), uso distorto e malevolo delle scritture (e delle interpretazioni religiose) fanno di questa pratica una manifestazione dell’odio contro il corpo delle donne e la loro autonomia: dare sostegno a chi le combatte è anche lottare contro una delle forme più orrende di dominio patriarcale che ancora abitano il mondo contemporaneo. Meredith Tax, del Centre for secular space, sostiene che “qualsiasi approccio all’armonia multi-culturale che capitola dinanzi alla religione è una minaccia per i diritti delle donne e delle diversità di orientamento sessuale. La partecipazione delle donne nella società dipende dal loro essere definite non come membri di un gruppo etnico o religioso, ma come cittadine, con diritti uguali a quelli di ogni altro cittadino, compresi i loro padri e mariti”.