Il governo di Buenos Aires ha però annunciato di aver depositato oltre 1 miliardo di dollari per pagare come previsto il 30 giugno i creditori che hanno accettato il concambio. Una sfida alla sentenza degli ermellini americani. Ma se anche il pagamento dovesse saltare, il Paese avrà un ulteriore mese di tempo per onorare i suoi obblighi e trattare un accordo con i fondi speculativi
L’Argentina scivola pericolosamente verso un secondo default. Il giudice Usa Thomas Griesa ha respinto la richiesta di uno stop temporaneo al pagamento dei fondi speculativi che hanno acquistato sul mercato i ‘tango bond’ del fallimento del 2001 e adesso ne chiedono il rimborso integrale per un valore di 1,5 miliardi di dollari. Ma il governo di Buenos Aires non ci sta e annuncia di aver depositato oltre 1 miliardo di dollari per pagare il 30 giugno, come previsto, solo i creditori che hanno accettato il concambio. Una sfida agli ermellini statunitensi, che hanno imposto alla Casa Rosada di pagare contemporaneamente anche gli hedge fund.
“Non è nei nostri piani fare default”, ha affermato il ministro dell’Economia Alex Kicillof, che all’assemblea dell’Onu a New York ha definito l’atteggiamento del giudice americano “senza dubbio parziale a favore dei ‘fondi avvoltoi‘”. Kicillof ha messo di nuovo in guardia sull’impatto dell’attuazione della sentenza, che innescherebbe richieste di pagamenti e cause per 120 miliardi di dollari: molto più delle riserve in valuta estera della Banca centrale argentina. Il ministro ha anche criticato il poco tempo a disposizione per raggiungere un accordo con i fondi speculativi: le trattative “non possono essere completate in tre giorni”, ha detto. Buenos Aires e gli hedge fund hanno avviato contatti per raggiungere un’intesa, ma al momento non c’è ancora “nessuna soluzione”, fa sapere Daniel Pollack, lo ‘special master’ nominato per gestire e facilitare le trattative.
Con la nuova decisione del giudice Grisea, che ha definito “non appropriata” la sospensione temporanea del pagamento ai fondi speculativi, le opzioni a disposizione del Paese sudamericano si riducono ulteriormente. C’è la possibilità di un default, quella di un accordo con i fondi speculativi oppure quella di sfidare la giustizia americana. L’unica nota positiva è il fatto che anche se dovesse saltare il pagamento di 900 milioni di dollari in scadenza il 30 giugno ai creditori che hanno aderito al concambio, Buenos Aires ha un periodo di grazia di 30 giorni per onorare i suoi obblighi. Tempo durante il quale gli hedge fund si impegnerebbero – secondo indiscrezioni – a trattare per una soluzione comune, affinché venga assicurato il pagamento del debito ristrutturato entro il 30 luglio, se le trattative avranno “fatto progressi”.
A guardare con attenzione gli sviluppi della situazione è la Task force per l’Argentina, che rappresenta i 52mila creditori italiani che hanno fatto ricorso all’arbitrato internazionale. E’ critica nei confronti della posizione statunitense l’Unctad, l’agenzia per il commercio e lo sviluppo dell’Onu, secondo la quale la decisione della Corte Suprema americana avrà un impatto sul sistema finanziario globale, rendendo più difficili le future ristrutturazioni del debito. Inoltre, pagare simultaneamente chi ha aderito al concambio e chi non lo ha accettato significherebbe per Buenos Aires violare la clausola ‘Rufo’ (Rights upon future offers), che consente ai titolari di bond di chiedere rimborsi maggiori nel caso in cui l’Argentina paghi di più chi non ha accettato lo swap. L’Onu si spinge anche oltre e ritiene che la sentenza americana non rispetti la normativa della U.S. Foreign Sovereign Immunities Act, l’atto che stabilisce in quali casi uno Stato sovrano può essere citato in una Corte federale.