Concorso in omicidio premeditato, pluriaggravato, occultamento di cadavere e rapina le accuse per l’uomo che è finito in carcere perché secondo gli investigatori stava progettando la fuga in Albania. I carabinieri hanno atteso al porto che il peschereccio sul quale lavora facesse ritorno dalla nottata di lavoro
Mentre il nipote stringeva il cavo della televisione intorno alla gola di Silvio Mannina, bolognese di 30 anni, per strangolarlo a morte, Sadik Dine, lo zio teneva forte le gambe del giovane, reo solo di aver avuto una relazione con Lidia Nusdorfi, la donna sgozzata alla stazione di Mozzate nel Comasco l’1 marzo scorso da Dritan Demiraj, fornaio albanese di 29 anni. E proprio per aver aiutato Dritan, Sadik Dine, 50 anni pescatore albanese, è stato arrestato dal nucleo investigativo dei carabinieri del comando provinciale di Rimini.
Concorso in omicidio premeditato, pluriaggravato, occultamento di cadavere e rapina del cellulare di Mannina, le accuse per l’uomo che è stato arrestato perché stava progettando la fuga in Albania. I carabinieri hanno atteso al porto di Rimini che il peschereccio sul quale lavora l’albanese facesse ritorno dalla nottata di pesca, e intorno alle 8 di giovedì, l’hanno ammanettato e portato nel carcere dei ‘Casetti’.
È stato il pericolo di fuga, l’intenzione di tornare in Albania, a far scattare la misura cautelare in carcere visto che l’uomo, pedinato 24 ore su 24 da quando era stato iscritto nel registro degli indagati, cioè dopo le dichiarazioni di Monica Sanchi, la donna di Demiraj in carcere per concorso in omicidio, aveva raccontato il ruolo avuto dallo zio. Inoltre 10 giorni fa, con la morte della madre di Sadik Dine in Albania, per gli investigatori il pericolo che l’indagato lasciasse l’Italia si stava facendo sempre più pressante. Inoltre le indagini, proprio negli ultimi giorni hanno portato a una precisa collocazione del ruolo del pescatore nella morte del bolognese.
È Monica Sanchi che attesta per prima la presenza dello zio nell’abitazione dell’albanese i riscontri dei carabinieri, le intercettazioni telefoniche e ambientali, ne confermano poi il ruolo. È stato lui a minacciare con una mazza da baseball Mannina, a tenergli i piedi mentre l’altro lo strangolava. La Sanchi invece avrebbe ammanettato la vittima dopo averlo invitato a salire in casa e fatto spogliare con l’illusione di un rapporto sessuale. Gli investigatori riferiscono anche dei commenti dei due uomini sulla capacità di Mannina di resistere ai suoi aguzzini. Poi è lo zio che aiuta Demiraj a portare il cadavere alla cava del lago Azzurro dopo sarà ritrovato. Ad incastrare definitivamente il pescatore però è stato un telefono cellulare trovato dai Carabinieri nell’auto usato dal fornaio per andare a Como. Un cellulare intestato ad uno straniero in uso però a Sadik che per coprirsi mente ai Carabinieri sul possesso di quel cellulare.
Le indagini però dimostrano che era il suo e che la sera dell’omicidio, quando il pescatore aveva detto di essere a casa a dormire dopo essere stato in mare a pescare, aggancia diverse celle sparse per Rimini. E c’è del traffico telefonico, da quel cellulare in uso a Sadik verso la sua abitazione. Poi il telefono si spegne dall’ora dell’omicidio per riattivarsi la mattina dopo, facendo andare in pezzi l’alibi del pescatore.