Sarà vero che il diavolo si nasconde nei dettagli? Nel caso di Matteo Renzi sembra essere proprio così. Un giorno dopo l’altro quel diavolo suggerisce di guardare oltre la coloratissima carta da regalo che avvolge il pacchetto, per vedere se il contenuto sia all’altezza della confezione. Per sapere se al di là della retorica roboante e fumosa del nuovo contro il vecchio, della rottamazione contro la conservazione, ci sia almeno qualche boccone d’arrosto.
Nel Paese degli scandali senza fine e del rapporto malato tra economia e politica, la cartina di tornasole per rispondere a questo interrogativo sono sempre e ancora i soldi, il modo con cui i politici regolano i finanziamenti alle loro attività, quanto il rapporto con i finanziatori sia trasparente nei confronti dei cittadini. Ed è proprio su questo punto che non ci siamo. Infatti la sarabanda mediatica che accompagna ogni iniziativa del Presidente del Consiglio pro tempore ha ingoiato come sabbie mobili un paio di episodi che invece possono dirci molto di quello che è e di quello che sarà.
Il primo risale all’epoca dello scandalo Lusi (marzo 2012), quando il nome di Renzi salta fuori come presunto beneficiario di 122mila euro. L’allora Sindaco di Firenze fa fuoco e fiamme, annuncia querele e nega di aver mai ricevuto un solo euro da Lusi, né dai partiti, né per le primarie, né per la campagna elettorale, né per le due Leopolde. In riferimento alla campagna elettorale del 2009 (quella culminata con l’elezione a sindaco di Firenze) Renzi sostiene di aver speso 209 mila euro e di aver raccolto fondi per appena 130 mila da cene, iniziative pubbliche e «da tante persone che mi hanno dato mille euro». Nella polemica che ne è seguita c’è una dichiarazione di Renzi, riportata dal Corriere Fiorentino, che va ripescata, staccata e conservata.
Alla domanda del perché non renda pubblico l’elenco completo dei suoi finanziatori, Renzi risponde: «Ci ho pensato, è tutto il giorno che ci penso, ma c’è il fatto della privacy: non ho avuto la liberatoria da chi mi ha finanziato, e questo mi mette in difficoltà. Qualcuno mi direbbe di no. Sono in difficoltà a fare i nomi proprio per un problema di riservatezza». Domanda: pubblicherà almeno l’elenco dei finanziatori della Leopolda e del Big bang? Risposta: «è lo stesso problema. Non mi hanno dato la liberatoria». Un paio di mesi dopo il sindaco di Firenze rende noti nomi di 73 persone e enti che hanno finanziato la sua campagna del 2009 e che «hanno autorizzato la diffusione della loro identità». Secondo la stampa, un numero di poco superiore di finanziatori, quindi più della metà del totale, resta coperto dall’anonimato.
Altro giro, altra corsa: aprile 2013, il totale dei finanziamenti arrivati alla Fondazione Big bang supera gli 800 mila euro e il cosiddetto Rottamatore pubblica a mezzo stampa un nuovo elenco dei suoi finanziatori. Come il precedente, è un elenco parziale: questa volta manca il 30 per cento circa dei donatori, e anche questa volta lo scudo è la privacy.
Diamo per buone le parole di Renzi e per acquisito che tutto si sia sempre svolto nell’assoluto rispetto della legge: non risultano elementi che provino il contrario, di conseguenza non abbiamo motivi per dubitarne. Ma proprio perché Renzi – come già Berlusconi – punta così tanto sul rapporto diretto tra il capo e i cittadini attraverso l’occupazione dei media, a quei cittadini, in nome del “conoscere per deliberare”, deve assicurare il massimo della trasparenza e della lealtà.
Se è vero, ed è vero, che legge sulla privacy impedisce a Renzi di rendere noti i nomi di quei finanziatori che non prestano il consenso, cosa impedisce a Renzi di decidere – lui, da solo, per se stesso – che d’ora in avanti non accetterà di ricevere finanziamenti da donatori che chiedano di restare anonimi? Il discrimine tra fumo, arrosto, vecchio e nuovo passa anche da qui.