Quote rosa, stop alla violenza nei confronti delle donne, politiche per il lavoro e l’occupazione femminile. O ancora, un giro di vite al fenomeno delle dimissioni in bianco, bandi e procedure a evidenza pubblica che favoriscano le aziende che promuovono la parità tra i sessi. Parte dall’Emilia Romagna il primo percorso normativo per combattere la discriminazione di genere e la parità tra i sessi. Il 25 giugno, infatti, l’Assemblea Legislativa regionale ha approvato, con la sola eccezione dei berlusconiani di Forza Italia, la prima legge quadro d’Italia per contrastare la disparità di trattamento tra uomini e donne: 45 articoli che toccano, in via inedita, i più svariati ambiti della vita politica, culturale e socio–economica del paese, introducendo norme vincolanti che, da un lato, agiscano direttamente contro la diretta discriminazione delle donne nel lavoro come nella società, e dall’altro potenzino il sistema di assistenza per chi subisce violenza da parte degli uomini.

Gli ambiti di intervento della nuova normativa, in particolare, comprendono il sistema di rappresentanza, la cittadinanza di genere e il rispetto delle differenze, la salute e il benessere femminile, e la prevenzione alla violenza di genere. Inoltre vengono introdotte politiche per il lavoro e l’occupazione femminile, l’imprenditoria rosa, la conciliazione e la condivisione delle responsabilità sociali e di cura, la rappresentazione delle donne nella comunicazione e nuovi strumenti del sistema paritario. A partire dalle prossime elezioni regionali, ad esempio, dovrà essere garantita una rappresentanza egualitaria tra uomini e donne, o attraverso la riforma dell’attuale legge elettorale o con l’approvazione di una nuova norma, o ancora, in futuro, verrà elaborata un’apposita sezione di genere nell’albo regionale delle nomine, dovranno essere varati bandi pubblici fatti per premiare i soggetti che applicano principi egualitari e antidiscriminatori. Per quanto riguarda, invece, il settore lavoro, verrà istituito un credito ad hoc per le imprese al femminile, sarà promosso un giro di vite contro il fenomeno delle dimissioni in bianco, e tutte le procedure a evidenza pubblica dovranno individuare criteri di selezione e/o punteggi premiali a favore delle aziende che adottano azioni per la parità di genere, e l’etichetta Ged (Gender equality and diversity label) sarà assegnata alle realtà che si sono distinte per comportamenti virtuosi.

Ad assistere, in aula, al voto sulla nuova legge quadro una rappresentanza della Conferenza delle donne democratiche dell’Emilia Romagna, guidata dalla coordinatrice regionale Lucia Bongarzone, in abiti bianchi e rossi, che sul via libera ha espresso “massima soddisfazione”: “E’ una giornata storica per la nostra regione, perché ora le politiche di genere assumono un ruolo ancor più centrale all’interno delle nostre istituzioni, a riprova della concretezza e della sensibilità di questa terra”. Una legge che, sottolinea Bongarzone, nasce da una raccolta firme a cui hanno aderito 12.000 persone, e consegnata nel luglio scorso all’Assemblea legislativa. “In Italia ancora regna un certo maschilismo criminale che vede le donne come una proprietà degli uomini – commenta anche Franco Grillini, gruppo Misto – ed è quindi ancora più importante una legge che presta grande attenzione anche ai simboli, oltre che alle misure concrete, ad esempio contro la violenza, perché serve una vera rivoluzione culturale”.

Polemico, invece, il Partito di Forza Italia, che sul provvedimento ha deciso di votare contro. Alcuni punti della legge quadro, secondo i berlusconiani, non funzionano, ad esempio mancano gli stanziamenti per attuare diversi punti iscritti nel testo, e ci sono passaggi “privi di valore pratico”. “Questa non è nemmeno una legge bandiera, semmai è un manifesto, la cui unica finalità è un messaggio politico elettorale – critica il consigliere regionale Fi Andrea Leoni – ci sono punti critici inaccettabili, tra cui, ad esempio, la scelta di distribuire cariche nelle società partecipate secondo il genere e non il merito, come invece necessario, la pretesa di cambiare anche la grammatica, l’utilizzo di risorse e personale per scopi inutili come campagne di informazione invece che per il potenziamento di strutture già esistenti e già efficaci come i centri anti-violenza, e infine, l’uso ridondante di prescrizioni per cui bastano e avanzano i codici deontologici già presenti nelle varie professioni”. “Questa norma è ridondante di foga di genere – commenta anche il capogruppo berlusconiano Gianguido Bazzoni – si torna addirittura indietro rispetto alle battaglie condotte dalle donne negli ultimi 70 anni, siamo davanti a una retorica che scade in forzature fondamentaliste”.

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