Nel suo articolato e lucido parere, il Chief Justice John Roberts, giudice repubblicano e conservatore, ha sostenuto che: “Il 90% degli americani possiede un cellulare e in ognuno di essi vi è l’esatta trascrizione digitale di ogni aspetto della vita, dal più banale al più intimo, i cellulari sono una parte pervasiva e onnipresente della vita quotidiana”. Avere in mano il telefonino di una persona significa poter “mappare” la sua intera vita privata, gli “interessi e le preoccupazioni”, nonché “i singoli spostamenti minuto per minuto”. Secondo il giudice supremo, vista la mole di dati contenuta nei telefonini e sui tablet, alle nuove tecnologie devono essere applicati gli stessi principi della tutela della privacy che hanno contraddistinto gli Stati Uniti fin dalla loro nascita.
Sino ad oggi, vi è sempre stata una sostanziale equiparazione (avallata dalla stessa Corte) tra il frugare nella memoria del telefonino e l’ispezionare il portafogli, la borsa, le tasche, le agende degli arrestati allo scopo di prevenire un delitto, di rintracciarne prove o indizi, di proteggere gli stessi agenti dalle reazioni dell’arrestato. Un’equiparazione tra mondo fisico-materiale e mondo digitale, tra atomi e bit, operata insensibilmente. Ma – osserva ancora il Giudice Roberts – tra le ricerche “tradizionali” e quelle effettuate nelle potenzialmente infinite memorie dei dispositivi elettronici di ultima generazione, vi è lo stesso rapporto che intercorre tra “una corsa a cavallo e un volo sulla luna. Entrambi sono modi di andare dal punto A al punto B, ma al di là di questo, poco altro autorizza a mettere le due cose sullo stesso piano”.
Nella rigorosa ricostruzione fattuale e giuridica della storica sentenza, lo stesso termine “cellulare” viene considerato obsoleto – “una abbreviazione fuorviante” è definita – in considerazione del fatto che potrebbe essere “altrettanto facilmente chiamato videocamera, videoregistratore, agendina personale, calendario, registratore, biblioteca, diario, album, televisione, mappa, giornale”. D’ora in poi, dunque, lo smartphone e tutti gli altri device saranno coperti dalla tutela del IV Emendamento che protegge contro perquisizioni o sequestri immotivati e per ispezionarli sarà obbligatorio avere un “warrant”, un provvedimento ad hoc dell’autorità giudiziaria.
“La perquisizione sulla memoria di un cellulare espone molto più di una pur minuziosa perquisizione domiciliare”, vista la tracciabilità di ogni “messaggio ricevuto anche di anni precedenti, ogni foto scattata, ogni libro e articolo letto”, sostiene ancora Roberts. Pur riconoscendo che “la nostra decisione di oggi avrà un impatto sulla capacità delle forze dell’ordine di combattere la criminalità”, il giudice della Corte Suprema Usa non ha dubbi nell’affermare che la “privacy ha un costo” che deve essere necessariamente sostenuto nelle società moderne.
Hanny Fakhoury, avvocato della Electronic Frontier Foundation, ha detto al Newsweek che la decisione potrà influenzare diversi giudizi pendenti. “Questa sentenza innesca un nuovo modo di guardare al IV Emendamento – ha evidenziato – e andrà a giocare un ruolo molto importante nel dibattito e nelle sfide legali sia sul monitoraggio della Nsa sia sul tracking telefonico. E’ di tutta evidenza che un conto è avere accesso ad una piccola porzione di informazioni personali, ben altro è ottenerne tonnellate, aggregare le informazioni conta molto”.
La sentenza del Giudice Roberts è di fondamentale importanza non solo perché innova il diritto, cambiando per sempre la giurisprudenza, ma anche perché marca nuovi e diversi equilibri tra principi giuridici e modernità, tra autoritarismo e libertà, tra mondo fisico e mondo digitale.