“Linkiesta è la storia di un insuccesso. La mia direzione a Linkiesta finora è la storia di un insuccesso“. Non usa mezzi termini il direttore Marco Alfieri in un articolo “sfogo” pubblicato alcuni giorni fa sul suo sito. “Non intendo dire che non si stia facendo del buon giornalismo e non si stia provando ad innovare”, spiega. “Dico che è la storia di un insuccesso perché ad oggi Linkiesta non è un progetto editoriale sostenibile. Per arrivarci – aggiunge in quello che è una sorta di manifesto de Linkiesta 2.0 – servirà molta più radicalità nell’innovazione, nei formati, nei linguaggi, nella tecnologia, nella cultura, nell’organizzazione di chi fa il giornale tutti i giorni, nella lungimiranza degli azionisti e nella competenza degli amministratori”.
Un’evoluzione che avverrà, spiega Alfieri a ilfattoquotidiano.it, “se la società editrice troverà i fondi che le servono per non andare in liquidazione. Ha meno di un mese di tempo”. Entro il 23 luglio infatti gli azionisti devono decidere se sottoscrivere o meno l’aumento di capitale sociale di 1 milione e 100mila euro. “Una cifra quasi irrisoria se paragonata a quelle dei giornali di carta – aggiunge -, ma rilevante per un progetto che fatica a generare ricavi”. Linkiesta S.p.A. nel 2013 ha fatturato, secondo i dati pubblicati da Italia Oggi, appena 191mila euro e si trova con un bilancio in rosso di quasi un milione e 500mila euro.
Quella de Linkiesta è la storia di una scommessa, quella di creare la “prima public company” dell’editoria italiana. Una società ad azionariato diffuso formata da 84 soci, nessuno con più del 5% di azioni, così da garantire, almeno “teoricamente”, l’autonomia editoriale. Fra questi c’è l’ex presidente dei giovani industriali Anna Maria Artoni, il finanziere Guido Roberto Vitale, il commercialista Andrea Tavecchio, l’imprenditore Marco Pescarmona, l’avvocato d’affari Fabio Coppola, genero del banchiere Giovanni Bazoli, e Pietro Fioruzzi, avvocato del finanziere e supporter di Renzi Davide Serra.
In appena tre anni di vita le vicende del giornale sono state burrascose. Linkiesta ha iniziato le pubblicazioni nel 2011, diretta da Jacopo Tondelli, che veniva dalle colonne economiche del Corriere della Sera e aveva in mente di portare online un’informazione liberal e indipendente. Il primo grande stravolgimento sono state le sue dimissioni, giunte dopo il licenziamento del condirettore Massimiliano Gallo. Con Tondelli se ne sono andati anche gli altri giornalisti co-fondatori: Jacopo Barigazzi, Lorenzo Dilena e Michele Fusco. Una vicenda mai chiarita del tutto. Allora furono addotte motivazioni economiche, i conti da risanare, ma non mancarono speculazioni su uno scontro tra alcuni membri del cda di area renziana e la direzione, per alcuni articoli critici nei confronti di Davide Serra.
Dopo questa scissione le redini della redazione sono state affidate a Marco Alfieri, già inviato de La Stampa, da poco arrivato a Linkiesta. “Ho cercato di superare l’approccio accademico che aveva contraddistinto il giornale fino ad allora – racconta Alfieri a ilfattoquotidiano.it – , di renderlo più friendly così da allargare, come è stato, la platea dei lettori”. Un’operazione all’interno della quale rientra LinkPop, una sezione del giornale con notizie più “frivole”, l’inizio di collaborazioni con firme come Luca Telese e Quit the doner. Ma questo non è bastato a far crescere sensibilmente la pubblicità e risanare i conti dell’azienda che sono anche peggiorati.
Nei primi mesi del 2014 si è arrivati così a una nuova stagione di tagli. Prima vi sono state le dimissioni spontanee di Paolo Stefanini e Antonio Vanuzzo, che erano nel giornale sin dall’inizio. Poi sono stati allontanati due redattori, oltre che la star di Twitter Fabrizio Goria. “Una decisione dolorosa – ricorda Alfieri – presa in base a criteri economici, per diminuire il monte stipendi senza dover scrivere lettere di licenziamento”.
L’ultimo stravolgimento c’è stato il 29 maggio, quando l’assemblea dei soci, dopo aver approvato il bilancio del 2013, ha modificato lo statuto per portare il limite del possesso delle quote dal 5 al 30%, permettendo de facto una scalata della società. “L’intento è quello di permettere un’operazione industriale sul giornale – spiega Alfieri – e quindi l’entrata non più solo di persone fisiche, ma anche di aziende disposte a investire per controllare una quota rilevante del sito”. In quella sede l’assemblea ha deciso anche di proporre l’aumento del capitale sociale della società, per rimetterla in pari. Gli atti sono stati pubblicati in tribunale il 23 giugno, quindi da quella data decorrono 30 giorni di tempo per sottoscrivere la ricapitalizzazione. “Gli scenari sono vari – afferma Alfieri -, o i soci mettono mano al portafoglio, o entrano soggetti terzi, o la società viene ceduta. In alternativa si va in liquidazione”.
Tutto si deciderà nelle prossime settimane, ancora non c’è nulla di certo. Al momento i fondi sono finiti e in redazione si respira un clima teso. Gli stipendi hanno subito lievi ritardi e il pagamento dei collaboratori esterni è indietro di una tranche. Ma la partita è ancora aperta e Alfieri assicura che se il giornale avrà una seconda possibilità si rinnoverà radicalmente. “Ho già un piano editoriale pronto – racconta -, per cercare di portare Linkiesta a superare il monopolio del testo scritto e trasformarsi in un laboratorio di innovazione che lavori con tutti gli strumenti offerti dalla tecnologia”.