Secondo la stampa britannica, in quest’inizio d’estate stranamente caldo in Gran Bretagna, dilaga l’euroscetticismo. L’ennesima conferma arriva dall’umiliante sconfitta di Cameron, primo ministro britannico, che nonostante gli sforzi diplomatici non è riuscito ad impedire la nomina dell’ex primo ministro del Lussemburgo, Jean-Claude Juncker, a presidente della Commissione europea, la carica europea più importante. Il presidente della Commissione è infatti il capo dell’organo esecutivo dell’Ue, colui che assegna i portafogli ai commissari designati dai vari governi nazionali. Allo stesso tempo, la Commissione legifera e vigila sull’applicazione della normativa comunitaria da parte dei Paesi membri e quindi de facto agisce quale “guardiano dei Trattati”.
Siamo ad un bivio importante, affermano in molti nel paese dove è nato l’euroscetticismo, per la prima volta nella storia dell’Unione Europea l’opposizione da parte di uno dei big, delle nazioni più importanti, e cioè la Francia, la Germania ed il Regno Unito, non ha prodotto una soluzione di compromesso, ma è stata semplicemente ignorata.
Per gli inglesi l’insuccesso di Cameron è il segno inconfondibile che l’Unione ha ormai un’anima sua, indipendente da Londra, Parigi o Berlino, e che il processo d’integrazione ha subito un’accelerazione in grado di scavalcare anche la lettera dei trattati. E’ questa infatti la prima volta che il candidato per la posizione più importante all’interno dell’Ue viene scelto dal gruppo di maggioranza del parlamento europeo, quello di centrodestra, dal quale, ironicamente, Cameron ha preso le distanze fino ad abbandonarlo. In precedenza erano stati i capi di Stato dei paesi membri ad eleggere il presidente della Commissione ed il Parlamento si limitava a ratificarne la nomina.
De facto, insomma, ad incoronare Juncker, se come tutti si aspettano la nomina verrà confermata dal nuovo Parlamento europeo il 16 luglio, è stato questo stesso. Non è ciò che dicono i trattati, sostiene Cameron che nelle trattative ha giocato più volte la carta della legittimità: dato che soltanto il 46 per cento della popolazione europea ha votato nelle elezioni per il Parlamento europeo, mentre una percentuale di gran lunga maggiore ha eletto i governi dei paesi membri, sembra più ‘democratico’ far decidere a questi ultimi chi guiderà l’Unione. Ma come abbiamo visto questo ragionamento non ha funzionato.
Il timore è che la profonda crisi finanziaria ed economica che dal 2008 attanaglia l’Europa, abbiano accelerato il processo d’integrazione spingendolo in una direzione che non solo a Londra non piace, quella dell’integrazione politica. Come al solito nell’elezione di Juncker l’unica voce in controcanto è stata quella inglese, appoggiata solo dall’Ungheria, tuttavia molti condividono le preoccupazioni di Cameron riguardo alla forza centrifuga burocratica che spinge l’Unione verso una gestione centralizzata e lontano da quella dei singoli paesi. La stessa Merkel all’indomani della sconfitta di Cameron ha ammesso che i capi di governo devono produrre una tabella di marcia di riforme da seguire.
Ci troviamo insomma in un territorio sconosciuto, dove tutto è possibile, incluso il sabotaggio all’interno del Parlamento europeo da parte delle forze euroscettiche o l’uscita di una nazione come il Regno Unito. Già diversi mesi fa Cameron ha promesso che se verrà rieletto indirà entro il 2017 un referendum sull’appartenenza all’Unione. Sembra giusto, quindi, affermare che questa sarà una legislatura importante, forse anche fondamentale, per il futuro dell’Unione e dei paesi membri.