Maria Luisa Boccia in "Con Carla Lonzi. La mia opera è la mia vita" ricostruisce il percorso della scrittrice e filosofa che, per aderire fino in fondo al percorso del suo pensiero, ha deciso di rinunciare alla professione di critica d’arte, alle relazioni sociali e alla vita pubblica
Un dialogo con Carla Lonzi, da donna a donna, attraverso i suoi scritti, i manifesti, le riflessioni, che sollecitano chi legge a pensare a partire da sé. Si può sintetizzare così il libro di Maria Luisa Boccia, docente di filosofia e scrittrice, dal titolo “Con Carla Lonzi. La mia opera è la mia vita”. Un testo denso di rimandi alla produzione teorica della femminista della differenza più famosa d’Italia ma meno conosciuta a livello mainstream. Un’eredità, questa, in linea con la sua scelta di vita radicale, di netta separazione dal dominio del “mondo umano maschile” e di rifiuto di un percorso basato sull’emancipazione.
Ha 39 anni Lonzi quando fonda il gruppo Rivolta Femminile e la piccola casa editrice che pubblica i libretti verdi e quando scrive il “Manifesto”, un testo che contiene i pensieri più significativi sul femminismo. Tra questi: l’orgoglio della differenza, il riconoscimento del lavoro di cura come produttivo, la critica verso il matrimonio, la centralità del corpo e la rivendicazione di una sessualità autonoma svincolata dalle richieste maschili. Sono gli anni Settanta, l’epoca della contestazione e della ribellione contro una società che considera ancora la donna come sottomessa. La carica delle lotte in corso si traduce, prepotente, negli scritti lonziani di quegli anni: “Sputiamo su Hegel”, che mette in discussione le basi patriarcali della filosofia occidentale, e “La donna vaginale e la donna clitoridea”, che attacca le teorie freudiane legate alla sessualità femminile, mandando in frantumi “la struttura del rapporto tra i sessi” e l’eterosessualità obbligatoria (per usare le parole di Adrienne Rich).
I pamphlet di Lonzi appaiono ancora più rivoluzionari se considerati alla luce delle sue scelte di vita. Per aderire fino in fondo al percorso del suo pensiero, infatti, la scrittrice e filosofa decide di rinunciare alla professione di critica d’arte, alle relazioni sociali e alla vita pubblica. “È una scelta netta che non sarà mai revocata – scrive Boccia. – Quando la compie Lonzi ha raggiunto un soddisfacente grado di riconoscimento e affermazione professionale”. L’unica pratica possibile per questa femminista radicale resta l’autocoscienza, di cui lei è la pioniera, e cioè quel processo di autoconsapevolezza di sé inaugurato dal parlare tra donne in piccoli gruppi a partire dalla propria esperienza.
Lonzi, inoltre, crede nella scrittura. Per lei, infatti, scrivere è “un agire comunicativo”, rivolto a chi legge per prendere parola a sua volta. In questo senso vanno letti anche i testi successivi: “Taci anzi parla, diario di una femminista” e “Vai pure. Dialogo con Pietro Consagra”, suo partner storico. Sono trascorsi parecchi anni da quell’epoca e gli scenari sociali sono completamente cambiati. Eppure il pensiero di Lonzi resta per molti versi attuale, un patrimonio a cui attingere, declinandolo a seconda delle proprie esigenze. L’intento del saggio di Boccia è proprio di tramandare la produzione della femminista della differenza alle nuove generazioni, dando la possibilità alle giovani donne di oggi di riflettere sui diritti acquisiti, su quelli mancanti, su che cosa significa emancipazione, sulle pari opportunità, sulla persistente valorizzazione della donna-madre. Un libro che suona come un monito: non c’è una tabula rasa da cui partire, molte parole sono state già dette, basta conoscerle, partendo da sé e dalle proprie differenze.