Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio: "Creare un fondo federale europeo per alleggerire il debito pubblico del 25-30%". Il capogruppo di Forza Italia: "Proposte compatibili con le nostre". D'altra parte a sostenere misure simili erano stati già Prodi e Tremonti. Che nel 2010 scrisse un intervento sul Financial Times insieme al presidente designato della Commissione Ue, Juncker, allora presidente dell'Eurogruppo
Sugli eurobond le larghe intese si rafforzano. In Europa non è chiaro, in Italia di sicuro. La proposta è stata rimessa in pista dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio intervistato dal Corriere della Sera. Subito accolta dal capogruppo alla Camera (ed ex consigliere economico dell’allora premier Silvio Berlusconi) Renato Brunetta: “Proposte compatibili con le nostre”. Ma è un’intesa che affonda le radici nel passato. Da una parte, come ricordava sabato il Sole 24 Ore, gli eurobond erano stati proposti in un intervento per il Financial Times firmato dall’allora ministro dell’Economia italiano Giulio Tremonti. Insieme a chi? Proprio insieme a Jean-Claude Juncker, allora presidente dell’Eurogruppo, cioè della riunione dei ministri dell’Economia europei, e attuale presidente designato per la Commissione europea. Ma non solo. Un altro precedente riguarda un intervento del 2011 di Romano Prodi che insieme allo studioso Alberto Quadrio Curzio scriveva sempre sul Sole: “Noi crediamo invece che gli Eb servano all’unità, alla stabilità e alla crescita dell’Unione economica e monetaria e all’euro e quindi alla Ue”.
Tornando alla presa di posizione di Delrio il concetto è questo: “Si crea un fondo federale europeo al quale ogni Stato conferisce un pezzo del proprio patrimonio immobiliare e non – dice il braccio destro Sono garanzie reali che possono essere utilizzate in parte per investimenti strutturali in parte per alleggerire il debito pubblico.A quel punto non faticheresti più a trovare 3 miliardi di euro all’anno dalle privatizzazioni ma taglieresti il debito del 25-30%”. Il braccio destro di Renzi, nell’intervista al Corriere, è tornato sulla regola del “miglior uso della flessibilità” avallata da Bruxelles: “Vuol dire – osserva Delrio – che quando si calcola il deficit non viene considerata, o meglio viene considerata flessibile, una parte della spesa”. “Può essere fatto per il cofinanziamento, cioè i soldi che l’Italia è obbligata a spendere per utilizzare i fondi europei”, “una cifra intorno ai 7 miliardi di euro l’anno. Ma c’è anche la clausola degli investimenti, che consentirebbe di lasciare fuori dal calcolo spese ad alto impatto sociale, come la messa in sicurezza delle scuole o del territorio. Parliamo di una somma intorno ai 3 miliardi di euro. In tutto la flessibilità potrebbe valere 10 miliardi l’anno anche se non è scontato che queste due voci possano essere sommate”. Delrio esclude poi di domandare all’Europa di poter aumentare il tetto del deficit: “Non chiederemo di alzare il 3%”.
Qui si inserisce quella rivendicazione di Brunetta: “Dopo la sbornia del Consiglio europeo della scorsa settimana” il governo “per bocca del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, sembra essere tornato con i piedi per terra: flessibilità o non flessibilità, il problema dell’Italia è il debito. E su questo bisogna intervenire”. Il capogruppo di Forza Italia a Montecitorio sottolinea che ci sono tre proposte fatte dagli azzurri sono “certamente compatibili con le intuizioni e le aperture del sottosegretario Delrio”. La prima, “emissione di Eurobond garantiti dalla Bei, per finanziare investimenti in infrastrutture, in ricerca e sviluppo, innovazione, capitale umano” con “l’istituzione di un Fondo di garanzia ad hoc, la cui capitalizzazione sarebbe a carico dei singoli paesi” senza che questo incida nel computo del 3%. La seconda, “attacco al debito pubblico italiano” tramite “vendita di beni patrimoniali e diritti dello Stato disponibili e non strategici ad una società di diritto privato, che emette obbligazioni con warrant” e con l’obiettivo di “portare sotto il 100% il rapporto rispetto al Pil in 5 anni”. La terza, utilizzando “lo strumento dei ‘Contractual agreements‘, negoziare con la Commissione europea le risorse necessarie per l’avvio di riforme volte a favorire la competitività del ‘sistema Italià, che aumentino la produttività del lavoro e di tutti i fattori produttivi, e che contemplino la riduzione della spesa pubblica e la riduzione della pressione fiscale”. “Su questi punti – conclude – si gioca la credibilità dell’Italia in Europa e sui mercati. Su questi punti tutte le forze politiche sono chiamate a riflettere insieme”.