Alcuni ricercatori dell’Harvard Medical School di Boston hanno sperimentato, finora solo sul fegato di topi, un metodo che combina bassissime temperature e sostanze protettive per i tessuti e che permette di estendere i tempi. Il trapianto è un intervento salvavita in cui fondamentale è il tempo. Ogni minuto è prezioso e non può essere perso. Attualmente, i limiti fissati vanno dalle 6 alle 12 ore
Allungare i tempi di conservazione degli organi da trapiantare. Alcuni ricercatori dell’Harvard Medical School di Boston hanno sviluppato una nuova tecnica, sperimentata finora solo sul fegato di topi, che combina bassissime temperature e sostanze protettive per i tessuti e che permette di estendere fino a quattro giorni i tempi di conservazione dell’organo. Il trapianto è un intervento salvavita in cui fondamentale è il tempo. Ogni minuto è prezioso e non può essere perso. Attualmente, i limiti fissati per la conservazione di organi umani vanno dalle 6 alle 12 ore.
Un risultato quello degli scienziati che potrebbe quindi segnare una svolta permettendo di evitare le corse contro il tempo per portare a destinazione gli organi destinati al trapianto, salvando più vite. Come spiega lo studio pubblicato sulla rivista Nature Medicine, e supportato dal National Institute of Biomedical Imaging and Bioengineering e il the National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Disease, estendere la durata di tempo con cui un organo può essere preservato può avere un impatto davvero rilevante sulla pratica clinica dei trapianti di fegato. Con un tempo più lungo, come consente questo muovo metodo, si potrebbe preparare al meglio la persona che riceverà l’organo e usare gli organi provenienti da donatori che si trovano a distanze geografiche maggiori.
L’approccio messo a punto dai ricercatori, coordinati da Korkut Uygun, si basa sul super-raffreddamento e la conservazione dei tessuti tramite una macchina per la perfusione extracorporea, che infonde ossigeno e nutrienti, oltre ad una sorta di antigelo, una soluzione non tossica con un composto del glucosio modificato nel fegato, che viene raffreddato ad una temperatura di -6°. Dopo alcuni giorni di conservazione, il fegato è stato ‘riscaldato’ con la macchina per la circolazione extracorporea, mentre ossigeno e altri nutrienti sono stati rilasciati per preparare l’organo al trapianto.
In questo modo i ricercatori hanno ottenuto il 100% di sopravvivenza nei ratti un mese dopo il trapianto con fegato conservato 3 giorni, e quasi il 60% di roditori sopravvissuti dopo oltre un mese con fegato conservato per 4 giorni. Nessuno degli organi è rimasto invece vitale quando è stato conservato per 3 giorni usando i metodi più tradizionali. “Il prossimo passo sarà testare questo metodo su animali più grandi – spiega Rosemarie Hunziker, uno dei ricercatori -. Più a lungo riusciamo a conservare gli organi donati, più aumentano le possibilità del paziente di trovare un organo compatibile”.
Tuttavia, secondo Mauro Salizzoni, direttore del Centro trapianti dell’ospedale Le Molinette di Torino, questa tecnica presenta anche dei rischi: “Tanto più un organo riesce ad essere conservato a lungo – rileva – tanto più diventa commerciabile. Servirebbero quindi delle garanzie etiche. Senza contare che, se anche funzionasse sugli uomini, aumenterebbe i costi dell’intervento e il tempo necessario a prepararlo, portando così ad un calo dei trapianti effettuabili”.