Dopo l'articolo di ieri del fattoquotidiano.it, la società controllata dal Tesoro conferma di avere rapporti commerciali con multinazionali accusate di omicidi e violenze in Colombia. Ma si dice "disponibile" ad attuare tutte le determinazioni necessarie". Sospeso blitz di Greenpeace a Civitavecchia
Enel ammette e promette: mai più carbone insanguinato. All’articolo di ieri sull’approvvigionamento di combustibile fossile da due multinazionali accusate di crimini efferati in Colombia la società risponde con una nota che fa ben sperare per il futuro. Poche righe che hanno però un grande peso, abbastanza da indurre Greenpeace Italia a frenare una delle sue spettacolari proteste non-violente, con la Rainbow Warrior che aveva già intercettato un carico di carbone proveniente dalla Colombia ed era pronta ad entrare in azione nel porto di Civitavecchia. “La risposta dell’azienda è un primo importante segnale che abbiamo deciso di onorare. Facciamo campagne sull’energia, e in questo caso sul carbone, per proteggere clima e ambiente, non per distruggere realtà industriali. Se ci giungono segnali di cambiamento li valutiamo con attenzione”, spiega Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia.
Ammissioni e aperture di credito, disgelo a mezzo stampa tra colosso e ambientalisti. In realtà la redazione de ilfattoquotidiano.it aveva inviato a Enel una serie di domande sui rapporti commerciali in essere e la trasparenza delle informazioni alla clientela e al mercato, sperando in risposte dettagliate. La società ha scelto altrimenti, anche in considerazione del fatto che “pur avendo un controllo pubblico, Enel risponde alle regole delle spa, con tutti gli obblighi di riservatezza e le limitazioni delle informazioni che questo comporta”. Il nodo erano dunque i rapporti con le multinazionali Drummond e Prodeco che, fino all’uscita di uno studio commissionato da Greenpeace e pubblicato dal fatto.it in esclusiva, non erano annoverati tra i fornitori noti del carbone utilizzato da Enel.
Ma le loro navi attraccavano a Civitavecchia, La Spezia e Venezia proprio per questo. Un’informazione che è stata ricostruita dai ricercatori della fondazione olandese Somo attraverso sofisticati strumenti di documentazione e tracciamento delle rotte. Un lavoro importante per stabilire rapporti commerciali per certi versi imbarazzanti”, se non compromettenti, viste le accuse di violazione dei diritti umani che da oltre un decennio gravano sulle due società in questione. Enel è controllata dal Tesoro, ha come primo azionista il governo. Se non bastasse ci sono poi quei 31 milioni di clienti italiani (e altrettanti in Europa) che hanno il diritto di sapere se con le loro bollette contribuiscono a finanziare gli squadroni della morte e le loro violenze a 10mila km di distanza. E a ritenersi preoccupati anche solo dal sospetto.
Ebbene Enel, che aveva ricevuto lo studio in anteprima, non solo non smentisce di approvvigionarsi dalle due società che sono a processo negli Usa, ma lo conferma apertamente, per la prima volta: “Il Gruppo Enel importa carbone dalla Colombia per alcuni dei propri impianti, come fanno peraltro pressoché tutte le altre utilities europee, utilizzando come fornitori anche le aziende Drummond e Glencore (Prodeco)”. Ed è un’ammissione importante. Di Drummond e Prodeco, infatti, non si fa menzione da nessuna parte, neppure sul sito dove abbondano report, analisi, codici etici, bilanci di sostenibilità.
Cosa dice allora Enel? “Circa la natura dei rapporti specifici con le società citate, non vi è alcun dubbio che, qualora fossero riscontrate le accuse che vengono mosse dallo studio Somo alla Drummond e alla Glencore (Prodeco), o più in generale una rilevante violazione etica, Enel non avrebbe alcuna esitazione ad agire nei confronti delle controparti e ad attuare tutte le determinazioni necessarie, come per altro già previsto nei rapporti che legano l’azienda ai propri fornitori”. Esattamente quello che chiedeva Greenpeace.
“La risposta di Enel segna un cambio di atteggiamento radicale”, sostiene Boraschi. “Siamo impegnati da anni a fare campagna per trasformare questa azienda, tirarla fuori dalle secche di una visione industriale sbagliata. La risposta di oggi è una importante apertura pubblica, Enel non si è trincerata dietro un “no comment”; più significativo ancora è l’impegno preso, a verificare i dati del rapporto Somo e – qualora riscontrata la solidità delle accuse nei confronti delle multinazionali minerarie che operano in Colombia – ad agire senza “alcuna esitazione (…) nei confronti delle controparti e ad attuare tutte le determinazioni necessarie”. Il nuovo management ha fatto dichiarazioni importanti di discontinuità e oggi le conferma con un atteggiamento di apertura che è benvenuto. Ora su questa vicenda abbiamo una sola, ovvia richiesta: fare presto. Le verifiche necessarie devono essere approfondite e rigorose, ma non debbono tardare. Questa mattina abbiamo intercettato all’ancora davanti al porto di Civitavecchia l’ennesimo carico di carbone colombiano diretto alla locale centrale Enel. Il pensiero che dietro quelle migliaia di tonnellate di fossile potrebbero esserci altri abusi, altre violazioni dei diritti umani, altre violenze non dovrebbe lasciar dormire tranquillo nessuno. Per questo continueremo a vigilare, resteremo pronti a incalzare e semmai sfidare l’azienda qualora le risposte definitive tardassero ad arrivare”.