La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo esiste dalla fine degli anni ’50, ma l’Italia è stata condannata negli ultimi anni per violazione dell’articolo 3 – quello che proibisce la tortura e i trattamenti e le pene inumane e degradanti, un articolo fondamentale, messo a protezione di un diritto assoluto e istituente un divieto inderogabile, privo di eccezioni – moltissime volte. Oggi nuova condanna, legata a violenze subite da qualcuno in custodia delle forze dell’ordine. Che sta succedendo? Perché queste condanne tutte insieme, dopo decenni di silenzio? Non certo perché l’Italia si è messa improvvisamente a violare l’articolo 3 della Convenzione Europea. Più verosimilmente, perché la condanna apripista ha fatto conoscere ad avvocati e detenuti il sistema europeo di tutela dei diritti umani. Chissà quanto ancora ci costerà, in termini di soldi ma più ancora di vergogna verso noi stessi.
Oggi la Corte non si limita ad affermare che a Sassari ci fu violenza. Dice anche che l’Italia non è stata capace di tutelare giuridicamente chi quella violenza ha subito. Prescrizioni, ma non solo: anche pene troppo lievi. Come la pena pecuniaria di 100 euro per il poliziotto che sapeva delle violenze e non ha denunciato i suoi colleghi. Questo passaggio della sentenza ha un valore enorme. Smontare lo spirito di corpo. Dare valore alla singola persona e al rispetto della sua dignità sopra e al di là di ogni appartenenza. Operare una trasformazione culturale per la quale siamo tutti complici di fronte al rispetto dei diritti umani.
Quella di Sassari è stata la più grande inchiesta d’Europa per maltrattamenti nelle carceri. Se avessimo avuto il reato di tortura nel nostro codice penale le cose sarebbero andate diversamente. Noi insistiamo: un testo di legge per introdurlo è già stato votato dal Senato. Che la Camera faccia adesso rapidamente il proprio dovere.