Dopo 6 anni resta senza una verità la morte del 43enne di Varese. Il tribunale non decide sulla posizione di un carabiniere e 6 poliziotti: "Aspetti non approfonditi"
Se sei anni vi sembran pochi, benvenuti a Varese. E in particolare nel tribunale, dove non sono bastati due pubblici ministeri, due gip, due dibattimenti finiti nel nulla (perché intentati contro due innocenti) e sei anni di indagini a far chiarezza sulla morte di Giuseppe Uva, in una notte un po’ alterata dell’ormai lontano giugno 2008. Servono altre indagini, e “questa vicenda sembra Beautiful” ha detto ieri la sorella Lucia, esasperata.
Che qualcosa di inatteso stesse accadendo lo si percepiva dal silenzio che arrivava dall’aula. A porte chiuse, come richiede un’udienza preliminare, ma affollata all’esterno come per i grandi processi. Dopo l’imputazione coatta da parte di un altro giudice e il cambio dell’accusa (da Agostino Abate, su cui pende un procedimento disciplinare, a Felice Isnardi) il gup Stefano Sala doveva decidere le sorti del caso: se rinviare a giudizio o mandare prosciolti il carabiniere e i sei poliziotti coinvolti nella vicenda.
Il giudice, ritirandosi in camera di consiglio, ha dato appuntamento dopo mezz’ora. Non è bastato. Il caso è troppo complesso e quella che in mattinata a qualcuno era sembrata una storia già studiata nei minimi dettagli, ha avuto bisogno in realtà di più tempo. In un silenzio irreale Sala ha pronunciato: “Ritenuto che non sia possibile assumere alcuna decisione in merito alla richiesta di rinvio a giudizio a fronte di un processo magmatico e spesso contraddittorio (…), sussistono temi e profili di indagine assolutamente determinanti che non sono stati oggetto di proficuo ed adeguato approfondimento investigativo (…), dispone la trascrizione della conversazione telefonica registrata dalla parte civile e che si proceda all’escussione di Alberto Biggiogero”. La telefonata in questione è quella che Lucia Uva ha ricevuto dalla supertestimone che avrebbe visto Giuseppe in ospedale, mentre veniva accompagnato in una stanza da alcuni uomini in divisa. Alberto è l’amico che era con Giuseppe la notte del fermo da parte dei carabinieri. Ma come, a distanza di sei anni, un giudice chiede ancora di sentire il testimone principale? E usa parole come “magmatico” e “contraddittorio” per definire, evidentemente, il lavoro fatto in fase di indagine? “Mi chiedo dopo 6 anni chi dobbiamo ringraziare per la situazione che si è venuta a creare”, ha dichiarato il legale della famiglia Uva, Fabio Anselmo. Certo non è la prima volta che in questa vicenda assistiamo a colpi di scena e dietrofront. L’11 marzo di quest’anno il gip aveva disposto l’imputazione coatta di carabinieri e poliziotti, considerati invece innocenti dal pm Abate. Il fascicolo era allora stato preso in mano da Isnardi che, fino a poche settimane fa, aveva espresso la volontà di ampliare il capo d’imputazione inserendo nell’accusa proprio la testimonianza relativa all’ospedale. Peccato che poi, durante la requisitoria, il pm avesse chiesto il proscioglimento degli indagati, adducendo come motivazione l’aver potuto studiare il caso in maniera approfondita solo negli ultimi giorni. Ieri il gup ha rinviato nuovamente la decisione.
di Silvia D’Onghia e Alessandro Madron