Era il 2 luglio 1994: a Medellin moriva Andrés Escobar, ucciso a colpi di pistola nel parcheggio di un locale notturno. Capitano della Colombia più forte di sempre, si diceva in patria. La spedizione ai Mondiali di Usa ‘94, invece, fu un grosso fallimento: eliminazione al primo turno, dopo due sconfitte contro Romania e Stati Uniti, la seconda decisa da un’autorete proprio di Escobar. L’errore fatale che avrebbe poi portato a quell’omicidio.

Oggi, a vent’anni di distanza, un’altra Colombia, forte come e forse più di quella, si prepara alla partita più importante della sua storia. Anche nel ricordo di Andrés. Cosa sia accaduto in quella maledetta notte non è mai stato chiarito con precisione. C’è un colpevole reo-confesso, Humberto Munoz Castro, guardia del corpo di professione, condannato a 43 anni di carcere e rimesso in libertà nel 2005 in seguito a uno sconto di pena. La leggenda vuole che l’assassino abbia pronunciato le parole “Grazie per l’autogol”, mentre premeva il grilletto. I motivi dell’omicidio restano nebulosi: una lite finita in tragedia, dettata probabilmente dalla rabbia di chi aveva scommesso grosse cifre sulla vittoria della Colombia, e ne addebitava a Escobar la perdita.

Già, perché nel Paese erano davvero tutti convinti che i c potessero arrivare fino in fondo nel torneo. Una squadra fortissima: Carlos Valderrama in mezzo al campo a illuminare il gioco, Escobar in difesa, Freddy Rincon e Faustino Asprillia in attacco. Tutti sotto la direzione tecnica di Francisco Maturana, uno dei più grandi allenatori della storia del calcio sudamericano. Le cose, però, girarono per il verso storto fin dal primo incontro. Su quella formazione c’erano troppe pressioni, le aspettative di una nazione intera sull’orlo del collasso: il portiere Higuita costretto a saltare i mondiali perché arrestato dopo aver fatto da mediatore in un sequestro di persona; l’omicidio del fratello del centrocampista Herrera, le minacce di morte ai giocatori dopo la sconfitta con la Romania.La violenza e la criminalità abbracciavano tutto il Paese, il calcio non ne era immune. E l’eliminazione arrivò inevitabile: in campo non erano sereni.

Esattamente il contrario di quanto accade adesso in Brasile. Questa Colombia è calcio e spensieratezza: non bisogna aver cupi pensieri per dribblare sulla fascia come fa Cuadrado. O segnare l’incredibile gol con cui James Rodriguez ha indirizzato la sfida contro l’Uruguay, portando i suoi fino ai quarti di finale, miglior risultato di sempre ad un Mondiale. In panchina c’è Jose Pekerman, mentore di Messi nelle giovanili dell’Argentina, che ha eguagliato il record di Vittorio Pozzo di nove vittorie senza sconfitte in Coppa del Mondo. E nessuno si è accorto dell’assenza di Radamel Falcao, fermato da un grave infortunio.

Finora i Cafeteros sono stati probabilmente la squadra più divertente del torneo. E adesso viene il bello. Venerdì la Colombia giocherà il primo quarto di finale della sua storia. Per continuare la corsa bisognerà battere i padroni di casa del Brasile. Favoritissimi alla vigilia, forse un po’ meno adesso dopo aver tremato contro il Cile, mentre Rodriguez e compagni prendevano a pallate l’Uruguay. È presto per sognare, ma se la Colombia dovesse arrivare a Rio de Janeiro, e vincere, toccherebbe a Mario Yepes sollevare la coppa. O forse a Camilo “nonno” Mondragon, leader carismatico di questa nazionale, diventato a 43 anni il più vecchio giocatore di sempre nella storia dei Mondiali. Lui c’era anche nel ’94, portiere di riserva come oggi. E non ha dimenticato Escobar, il suo capitano ucciso vent’anni fa per un autogol.

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