La Corte dei Conti attacca la politica. Che vorrebbe “spuntare le armi” della magistratura contabile e “ridurre i controlli”. E che, anche solo attraverso l'”eccesso di legislazione”, finisce per favorire la corruzione. A lanciare l’accusa è stato il presidente dell’organo di controllo, Raffaele Squitieri, aprendo un convegno sulla corruzione a Roma. “Noi lavoriamo bene, potremo lavorare meglio se fossimo aiutati anche sotto il profilo delle risorse umane disponibili e con gli strumenti operativi. Invece la tendenza che notiamo è ogni tanto quella di ridurre l’incisività dell’azione della Corte dei conti. Questo prova che forse stiamo lavorando troppo bene”. Un allarme che suona in parte anche come un’autodifesa, considerato che nei giorni scorsi a far notizia sono stati i costi annuali della Corte, pari a 313 milioni di euro. Secondo quanto riportato da Repubblica, l’organo è il più costoso in Europa rispetto ai suoi omologhi.
Poco importa. Squitieri mercoledì non le ha mandate a dire. Poco diplomatico anche il seguito del suo ragionamento: “Se si spuntano le armi alla Corte dei conti, riducendo i controlli e prevedendo tempi capestro, o alle procure, come sembra si voglia fare in questi giorni, le garanzie che la Corte dei conti che può prestare contro la corruzione si riducono”. Non solo: le leggi, anziché aiutare, ostacolano l’opera dei controllori. Perché “l’eccesso di legislazione ha fatto sì che nel sistema si inserisca la corruzione“. L’Italia è un Paese “attrezzato sul piano delle strutture per combattere” la corruzione, “ma siamo caduti nel paradosso opposto, e le norme servono a ingessare il sistema”. Poi la citazione di Tacito, perfettamente in linea: “Moltissime sono le leggi quando lo Stato è corrotto”.
Anche i segnali che arrivano dall’Europa non sono confortanti, secondo Squitieri: “L’Ue ha i fari puntati sull’Italia per il problema corruzione”. Il presidente ha ricordato che l’Unione europea ha definito ‘insoddisfacente’ il contributo dell’Italia in materia. “Ma quando si è trattato di combattere le frodi comunitarie – ha sottolineato – ci si è rivolti all’Italia. Lascio la contraddizione a chi di dovere. Il nostro ruolo è segnalare, richiamare l’attenzione, chiedere l’intervento del Governo e del Parlamento, agire come deterrenti nei confronti dei malfattori”.
A lanciare l’allarme sulla corruzione era stato alcuni giorni fa il procuratore generale Salvatore Nottola, secondo cui “nessuna istituzione che abbia competenze pubbliche può ritenersi scevra di responsabilità di fronte al suo dilagare”. Un chiaro riferimento all’attualità: Expo 2015 con i suoi recenti scandali, ha detto Nottola, è “un caso emblematico” di deroghe a norme e controlli, “smantellati in base alla motivazione della somma urgenza”. Nottola era intervenuto anche sulla questione delle società partecipate, sostenendo che un mondo così variegato “richiederebbe un’assoluta trasparenza del fenomeno ma la realtà è diversa”. L’assetto delle società è spesso soggetto a vicende che i magistrati contabili definiscono “complesse”. “Le società partecipate dallo Stato a loro volta ‘partecipano’ ad altre 526 società”, spiega Nottola, “dette di secondo livello. E gli aspetti contabili sono spesso oscuri“.