La guerra per il controllo del gruppo era iniziata a febbraio 2011, quando si scoprì che l'imprenditore, senza darne comunicazione e senza versare alcun corrispettivo, si era intestato le quote che nel 1966 aveva assegnato, attraverso la fiduciaria Unione Fiduciaria in tre parti uguali ai figli di primo letto Giuseppe e Violetta, e a Marina, avuta dalla seconda moglie, con l’usufrutto del padre su circa un terzo delle quote
Bernardo Caprotti, 88 anni, non ha mai mollato. E ora, dopo il collegio arbitrale, anche la Corte d’Appello di Milano gli ha dato ragione respingendo il ricorso presentato dai figli, Giuseppe e Violetta, e confermando le conclusioni del lodo arbitrale sulla proprietà delle azioni del gruppo Esselunga, favorevoli al padre e impugnate dai figli.
La guerra per il controllo del gruppo era iniziata a febbraio 2011, quando si scoprì che l’imprenditore, senza darne comunicazione e senza versare alcun corrispettivo, si era intestato le quote che nel 1966 aveva assegnato, attraverso la fiduciaria Unione Fiduciaria (gruppo Bipiemme), in tre parti uguali ai figli di primo letto Giuseppe e Violetta, e a Marina, avuta dalla seconda moglie, con l’usufrutto del padre su circa un terzo delle quote. Si trattava del 92 per cento di Supermarket italiani, la holding che controlla per l’appunto Esselunga. Per sé aveva tenuto il restante 8 per cento. Quote che, dopo il lodo sono tornate in possesso del fondatore dell’impero. Nel 2011 l’imprenditore, classe 1925, decide proprio di riprendersi quelle quote in polemica con i due primi figli sulla gestione dell’azienda di famiglia. I due estromessi si erano quindi rivolti agli avvocati.
Per i giudici, come scrivono alcuni quotidiani, sono state decisive le scritture private tra l’imprenditore e i figli che erano state intestate ai figli in via fiduciaria con il diritto del padre di rientrare nella piene proprietà con una semplice comunicazione alla società fiduciaria. E quindi di fatto Caprotti era ed è il padrone di tutto.