L’Iraq come il Sud Vietnam, i miliziani sunniti dell’Isil come i Vietcong. A paragonare la situazione di Baghdad a Saigon nei giorni che ne hanno preceduto la caduta è il giornalista Peter Arnett, premio Pulitzer e corrispondente per varie televisioni dalla Guerra del Vietnam. “Anche allora la caduta della capitale sembrava inimmaginabile”.
In un intervento sul Washington Post Arnett, che nell’aprile del 1975 fu testimone diretto della caduta della capitale sudvietnamita, traccia diverse analogie tra la fallimentare guerra combattuta dagli Stati Uniti in Vietnam tra gli anni ’60 e ’70 e quanto sta accadendo oggi in Iraq. “Ben cinque presidenti Usa avevano impegnato miliardi di dollari e sacrificato migliaia di vite dei propri soldati nel conflitto tra il Nord comunista e il Sud”, commenta Garnett. Una situazione che il vincitore del Premio Pulitzer definisce “familiare” rispetto all’intervento militare Usa in Iraq.
Così come hanno fatto nelle ultime settimane i soldati dell’esercito iracheno finanziato e addestrato dagli Usa, davanti all’avanzata dell’Isil anche i soldati sudvietnamiti, nella loro disordinata ritirata negli ultimi giorni della guerra, abbandonarono dietro di sé mezzi, armi e perfino le uniformi.
Il Sud Vietnam e l’Iraq, scrive Arnett, “sono diversi“: Washington ha impiegato la sua potenza militare per mantenere “artificialmente diviso il primo” e “artificialmente unito” il secondo. “Ma la Saigon del 1975 e la Baghdad del 2014 hanno in comune una fragilità che nasce dalla dipendenza di entrambi dalla potenza degli Usa. Entrambi hanno cominciato a scricchiolare come uova al loro primo e vero test”.
Al pari di quanto fece il presidente Gerald Ford, che nel marzo del 1975 – poco prima della caduta del Sud Vietnam – rifiutò la richiesta del presidente sudvietnamita Nguyen Van Thieu di un un intervento aereo Usa contro le postazioni nemiche, anche Barack Obama finora non ha risposto ad un analogo appello lanciato dal premier iracheno Nouri al-Maliki, sottolinea Arnett. Come accadde all’epoca, “Obama potrebbe abbandonare al suo destino un altro alleato degli Stati Uniti”, incapace di attuare le riforme politiche chieste da Washington in cambio di un intervento militare.