Le intercettazioni dell'indagine del Ros e della Dda che ha sgominato il sodalizio tra locali piemontesi e calabresi che puntavano agli appalti per il movimento terra e al business del cemento, anche grazie alla complicità di imprenditori locali. "I No Tav? Li asfaltiamo"
È una torta da spartirsi e vogliono la loro parte. “Ce la mangiamo io e te la torta dell’alta velocità”. È così che l’imprenditore di Catanzaro trapiantato in Piemonte Giovanni Toro si rivolge a Gregorio Sisca, affiliato della locale di San Mauro Marchesato (Crotone) distaccata in Piemonte e smantellata dai carabinieri del Ros e dalla Direzione distrettuale antimafia di Torino. Il gip Elisabetta Chinaglia ha emesso venti ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti dei componenti della cosca Greco e dei suoi fiancheggiatori, tra cui anche alcuni nomi già noti come Adolfo Crea e Giacomo Lo Surdo, condannati nel processo “Minotauro”.
Tra gli indagati c’è pure l’imprenditore valsusino Ferdinando Lazzaro, a capo della Italcoge (ora Italcostruzioni, ditta attiva nel cantiere del Tav) che avrebbe smaltito illecitamente rifiuti. La procura di Torino ha anche ottenuto un sequestro di immobili, vetture, yacht, conti bancari il cui valore è stimato sui 15 milioni di euro, espressione di una ricchezza accumulata investendo nelle costruzioni.
I patti in Calabria – Secondo gli investigatori del Ros molti degli affari sarebbero stati definiti in Calabria. Tra la fine del dicembre 2011 e il gennaio 2012, quando i “torinesi” scendono a Crotone per le vacanze di Natale, avvengono riunioni con i “cirotani”, riunioni “finalizzate a predisporre le società e mezzi in vista dell’avvio dei lavori di scavo del tunnel ferroviario Tav Torino-Lione”, annota il gip. I due gruppi giungono a un accordo dopo il conflitto tra i vertici, Mario Audia e Domenico Greco.
Il movimento terra – Uno degli obiettivi degli arrestati era quello di inserirsi nel trasporto dei materiali. In particolare viene caldeggiato l’inserimento di Francesco Gatto, un “padroncino” proprietario della “Sud express”, nel consorzio Valsusa che raggruppa alcune ditte che operano a Chiomonte. Si sarebbe dovuto occupare del movimento terra, attività molto amata dagli ‘ndranghetisti. Intercettato al telefono con il boss Mario Audia, detto u’niuru, Sisca – tra gli affiliati più fedeli e facoltosi – dice: “Adesso che parte la Tav. Vediamo di farlo entrare insieme a questa cooperativa qua della Tav”. Sisca si attiva pure a favore dei suoi familiari, gli Iannone: appena fiuta l’affare chiama il nipote Bruno Iannone a Catanzaro e gli chiede di farsi fare alcuni preventivi per dei camion nuovi. Franco Iannone, altro parente di Sisca, gli dice di tenersi pronto che se ci fosse stato un contratto per la Tav avrebbero comprato altri mezzi.
La cava e il business del cemento – L’asso nella manica per la cosca è l’imprenditore Giovanni Toro, indagato per concorso esterno. Secondo il gip sarebbe “la testa di ponte dell’associazione per l’infiltrazione nell’ambiente imprenditoriale ma anche politico”. Toro ha una cava a Sant’Antonino di Susa e Sisca lo aiuta quando rischia lo sfratto da quella che potrebbe essere una miniera d’oro. “Noi dobbiamo stare lì perché è lì dentro che nei prossimi dieci anni arrivano 200 milioni di euro di lavoro”. Ci sarebbero soldi e lavoro per tutti: “La torta non me la mangio da solo. Me la divido con te e ricordati queste parole, che ce la mangiamo io e te la torta dell’alta velocità”. Oltre alla gestione della cava c’è il ciclo del cemento: frantumando gli scarti delle lavorazioni avrebbe potuto creare nuovo materiale: “Lì è un business che non finisce più”. E ovviamente Sisca vuole la sua parte: “Servono anche carpentieri bravi?”. “Sicuramente ce n’è bisogno veramente di tanti perché ci sono viadotti, cavalcavia. Ci sarà tanto tanto cemento armato… Li sistemiamo e li facciamo lavorare senza problemi appena parte”.
Le complicità degli imprenditori locali – Toro, che nel 2013 ha patteggiato una condanna per turbativa d’asta e spaccio, sfrutta le sue conoscenze, anche in maniera mefistofelica. Sfrutta pure la dipendenza dalla droga di Fabrizio Odetta, ad della grossa impresa Cogefa, a cui forniva cocaina (reato per cui ha patteggiato). Odetto “diventa un palanchino per far leva sulle cose”, dice il calabrese a suo fratello. Ma Toro sfrutta “il personale rapporto di amicizia” con Lazzaro che si era aggiudicato i lavori di preparazione del cantiere di Chiomonte. Grazie a lui Toro esegue alcuni lavori di asfaltatura nel cantiere. “Prendiamo tutto noi”, dice Toro a Lazzaro. Così volevano “monopolizzare di fatto i lavori in Val di Susa escludendo soggetti a loro non graditi” e così nel gennaio 2012 Lazzaro “si adoperava per far entrare Toro all’interno del Consorzio Valsusa” per garantirgli “un’ulteriore via di accesso ai lavori dell’Alta velocità”. Tuttavia nel marzo 2013 i carabinieri lo hanno portato in carcere prima che si potesse definire l’infiltrazione.
I No Tav da asfaltare – Il trattamento che il padroncino avrebbero riservato agli oppositori dell’opera sarebbe stato perfido. Emerge da un’intercettazione fatta la sera del 23 maggio 2011. Sisca parla dello sciopero degli operai dell’Italcoge e Toro cambia discorso: “Se arrivano i No Tav con l’escavatore ci giriamo e ne becchiamo qualcuno – dice – E che cazzo, stiamo lavorando, spostatevi che dobbiamo lavorare. E col rullo gli vado add… cioè salgo io sul rullo e accelero. Se non ti togli ti schiaccio. Che dobbiamo fare, la guerra!”.