Cinema

Sperduti nel buio, quando i nazisti rubarono i film dal Centro Sperimentale

Sembra un film d’avventura modello Monuments Men, ma si tratta di un documentario presentato alla 28esima edizione del Cinema Ritrovato a Bologna. Nel festival dei film ritrovati e restaurati si cerca una pellicola impossibile da ritrovare datata 1914, diretta da Nino Martoglio, e definita da numerosi critici e registi dell’epoca la fonte ispiratrice primaria della corrente neorealista italiana del primo dopoguerra

di Davide Turrini

Un film italiano scomparso e introvabile, i nazisti che fuggono dall’Italia, i decadenti studi cinematografici della Repubblica di Salò, e un paio di ardimentosi cinefili in viaggio per l’Europa a risistemare pezzi di storia. Sembra la tagline di un film d’avventura modello Monuments Men, anche se si tratta degli ingredienti di un documentario intitolato Sperduti nel buio, diretto da Andrea Pezzano e presentato alla 28esima edizione del Cinema Ritrovato a Bologna. 

Un bizzarro controsenso: nel festival dei film ritrovati e restaurati si cerca una pellicola perduta e impossibile da ritrovare. Parliamo di Sperduti nel buio (stesso titolo del documentario di cui sopra, ndr), datato 1914, diretto da Nino Martoglio, definito da numerosi critici e registi dell’epoca la fonte ispiratrice primaria della corrente neorealista italiana del primo dopoguerra, almeno per chi per 20 anni, fino al 1943, ha potuto vederlo.

“Era la nostra bandiera contro il cinema dei ‘telefoni bianchi’ del regime”, spiega nel film in una delle sue ultime interviste il compianto Carlo Lizzani, “un film non girato negli studi di posa, vicino alla realtà viva del momento in cui si girava”. Copia unica, negativo depositato al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma che viene però depredato, assieme ad almeno altre 313 pellicole in copia unica e ad attrezzature cinematografiche, dalla carovana della Wehrmacht in fuga dall’Italia nell’autunno del 1943.

Il treno dovrebbe fare sosta a Venezia dove Mussolini e Hitler vogliono fondare i nuovi spazi dove produrre il cinema del regime con il Cinevillaggio, che occupa i Giardini e i padiglioni della Biennale, e la Scalera Film che costruirà gli studi di posa nell’isola della Giudecca. Ma è proprio nella tappa veneziana che accade l’imponderabile. Il treno non si ferma e la copia di Sperduti nel buio firmata Martoglio comincia a girare per l’Europa: prima una tappa negli studi Babelsberg di Berlino, poi in una cittadina della Polonia e sul finire del ’44 con l’avvicinarsi delle truppe sovietiche in Germania in una cittadina di nome Kostebrau, e ancora probabilmente alla Gosfilmofond di Mosca e nell’archivio di qualche collezionista cinefilo milanese. Risultato: del film prodotto dalla Morgana film di Catania, con protagonisti la figlia illegittima di un nobile costretta a fare la prostituta e un ragazzo non vedente, rimangono alcuni frammenti fotografici, tanti ricordi e nessuna vera e propria traccia anche dopo il tour europeo dei novelli George Clooney e Matt Damon (il ricercatore vicentino Denis Lotti e Paolo Cannepele, del Filmuseum di Vienna), protagonisti del documentario del 2014 con titolo identico al film di 100 anni prima. 

“Non mi ero mai visto in una prospettiva attorica, è stata una sorpresa anche per me, mi hanno fatto una sorta di provino a mia insaputa”, spiega divertito Lotti, “ma la ricerca di Sperduti nel buio alla fine ha portato comunque al ritrovamento di alcune pellicole che sembravano perdute”. “Abbiamo tentato di illuminare una parte importante della nostra storia recente, non solo cinematografica che è ancora tutta da scrivere”, aggiunge il regista Pezzano che grazie al supporto di Rai Cinema ha potuto trasformare un lavoro indipendente in un documentario da 100mila euro di budget. Tanto che l’abisso in cui il film di Martoglio è finito diventa un affascinante spazio della memoria da riempire con dati e immagini che l’ipertecnologizzazione odierna non sembra aver aiutato a ritrovare e conservare: “Non si può digitalizzare tutto perché in alcuni casi vengono portati a termine lavori imbarazzanti che alterano colori e luci della pellicola”, spiega Lotti, “le copie fragilissime dei film in nitrato, negli anni sessanta spesso bruciate per sostituirle in copie in acetato, conservate in modo adeguato rimangono gli esempi più fedeli agli originali”.

Così nel viaggio della memoria cinematografica, ispirati dall’intuizione dello storico del cinema Gian Piero Brunetta, e con sullo sfondo un cinema di sopravvivenza, triste e crepuscolare, degli studi saloini della Scalera (“il ricordo più vivo di quei giorni sono le zanzare”, racconta nel film, Luciano De Ambrosis, attore all’epoca bimbo di otto anni che si trasferì alla Giudecca con i genitori), Lotti e Cannepele giungono ad una amara e drastica conclusione: i film di 100 anni fa sarebbero vissuti benissimo fino ad oggi: “Se la gente non sapesse, non toccherebbe nulla, e non rovinerebbe nulla e la storia del cinema rimarrebbe viva”.

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