Nessuna variazione di pressione nel giacimento petrolifero di Cavone, dagli anni ’70 a oggi. Escludono una relazione tra le attività di estrazione idrocarburi e i terremoti del 20 e del 29 maggio 2012 i primi risultati, ancora parziali, della sperimentazione condotta al Laboratorio Cavone, avviata a pochi giorni dalla pubblicazione del rapporto Ichese che indagava il possibile nesso tra trivelle e fenomeni sismici. Secondo la relazione pubblicata in questi giorni sul sito web del Laboratorio, una delle tre concessioni di sfruttamento per idrocarburi, oltre a Spilamberto e Recovato, attive in Emilia, terra dei terremoti di due anni fa, infatti, “l’iniezione d’acqua nel campo di Cavone non ha pressurizzato il sistema”.
Il rapporto redatto dai tecnici che hanno condotto il monitoraggio nell’impianto petrolifero di Padana Energia, con la supervisione della Regione Emilia Romagna e del ministero dello Sviluppo Economico, spiega che “la variazione di pressione interna del pozzo di reiniezione 14”, l’unico attivo nel reimmettere l’acqua di processo prima e durante la sequenza sismica del 2012, come ricordava la commissione internazionale Ichese nel report reso pubblico dal commissario alla ricostruzione Vasco Errani ad aprile, “non risulta significativa già nei pozzi vicini, e risulta praticamente nulla in corrispondenza dei pozzi più lontani e ai bordi del giacimento”. Fattore che, se confermato, escluderebbe l’intervento umano come innesco del terremoto del 20 maggio 2012, che poi a sua volta, diceva sempre il report Ichese, potrebbe aver dato avvio a quello del 29.
I risultati, va precisato, sono ancora parziali: elaborati i dati e costruito il modello matematico del giacimento, per dire conclusa la sperimentazione bisognerà attendere che un ente terzo esamini il lavoro fatto dai tecnici, prima che si arrivi a una valutazione finale del monitoraggio. Non prima della fine di luglio, insomma, secondo le tempistiche prospettate dalla Regione. E tuttavia, spiega Luisa Turci, sindaco di Novi di Modena, uno dei Comuni che condivide il terreno del giacimento petrolifero di Cavone assieme a Carpi, Mirandola, San Possidonio e Concordia sulla Secchia, “il fatto che non si siano registrate variazioni di pressione negli ultimi 40 anni è una notizia positiva”.
Come spiegavano i tecnici della commissione internazionale Ichese nel rapporto, “esistono alcuni casi in cui l’attività sismica è stata associata a reiniezione di acqua di processo nello stesso serbatoio dal quale è stato estratto olio o gas”: alla fase, insomma, in cui, estratto il petrolio, si reimmette in giacimento l’acqua ‘sporca’ prelevata assieme all’idrocarburo, che del liquido estratto rappresenta circa il 90%. E l’ipotesi che gli esperti non erano riusciti a escludere nel corso dell’inchiesta, avviata per fare luce su un possibile nesso tra le attività estrattive e i fenomeni sismici, era che la reiniezione potesse aver modificato la pressione delle rocce che formano la faglia sottostante l’area. “Le variazioni di stress e pressione all’interno della crosta terrestre, derivanti sia dalla rimozione del petrolio, sia dall’introduzione di fluidi necessari a provocare la fuoriuscita del greggio, quasi certamente non sarebbero state sufficienti a provocare, da sole, un terremoto simile – dice il report Ichese – Tuttavia è possibile che la faglia coinvolta nella sequenza sismica del 20 maggio fosse vicina al punto di rottura, e che le variazioni imposte dall’uomo alla crosta terrestre, seppur minime, siano state sufficienti a innescare il terremoto. Fenomeno che, a sua volta, potrebbe aver dato avvio alla scossa del 29 maggio”.
A Cavone, però, secondo i tecnici incaricati del monitoraggio, la pressione di giacimento sarebbe rimasta invariata dalla fine degli anni ’70, quando sono iniziate le prime attività di estrazione petrolifera. Per questo motivo la relazione sembrerebbe escludere il processo di “innesco” che gli esperti internazionali avevano ipotizzato. “Per noi è una buona notizia – sottolinea Turci – io vivevo qui quando negli anni ’80 si è iniziato ad estrarre petrolio, e sinceramente non ho mai pensato che il sito potesse essere collegato ai terremoti, ora pare che i dati lo confermino”. Maggiori informazioni arriveranno il prossimo 7 luglio, quando Mise, Regione e Padana Energia si incontreranno di nuovo per “approfondimenti sulle caratteristiche petrolchimiche e fluidodinamiche della formazione ricevente, sulla pressione statica di giacimento e sulle interferenze dell’attività di reiniezione sulla produzione di campo durante lo svolgimento del programma prove”. Ma la direzione tracciata dai primi risultati sembrerebbe escludere sorprese: “I dati ci dicono che le scosse non sono riconducibili alle attività estrattive condotte a Cavone, che peraltro rispetto agli anni ’80 sono fortemente diminuite, con siti chiusi e bonificati. Avere paura è normale e comprensibile, viviamo in un paese a rischio sismico, e noi emiliani non saremo mai tranquilli, non dopo quello che abbiamo vissuto, purtroppo le scosse hanno reso la nostra pelle sottile, siamo sempre allerta, tuttavia credo che questi dati siano positivi. Ora dobbiamo attendere le conclusioni del monitoraggio, e concentrare i nostri sforzi per ricostruire un’Emilia più sicura, e più forte”.