Dieci telefoni cellulari e cinque sim. Su questo lavora la squadra Mobile di Bergamo. Obiettivo: tracciare il risiko di contatti avuti da Massimo Giuseppe Bossetti, il presunto assassino di Yara Gambirasio. Sotto la lente d’ingrandimento degli esperti della scientifica la sim utilizzata dal 44enne muratore di Mapello, due appartenenti alla moglie Marita Comi e altre due di cui, ad ora, non si conosce l’utilizzatore. All’appello, in teoria, mancano altre cinque schede. Naturalmente non è detto che siano mai esistite, visto che i dieci telefoni sequestrati nella villetta di Mapello potevano funzionare con le stesse sim. La polizia però non tralascia alcuna ipotesi. E da ieri gli investigatori stanno accertando se altre schede siano mai esistite e se abbiano mai prodotto traffico inerente l’inchiesta sull’omicidio della 13enne di Brembate Sopra. L’obiettivo, spiegano alcune fonti investigative, è quello di scoprire eventuali contatti e dall’altro tracciare i percorsi di Bossetti attraverso l’analisi dei “coni” prodotti dai ripetitori. Un lavoro certosino sul cui risultato finale non pare esservi certezza. Tradotto: non sempre è possibile misurare la distanza del cellulare dal ripetitore della cella.
Si tratta dell’ennesimo mistero di questa vicenda. Va, infatti, ricordato che il 26 febbraio 2011, giorno in cui fu ritrovata Yara, sul corpo della piccola ginnasta fu rinvenuta la batteria del suo cellulare sporca di sangue. Da allora, però, all’appello mancano il telefonino e la stessa sim. Fin da subito, gli esperti della scientifica analizzarono i tabulati corrispondenti al numero telefonico della ragazza tracciando un numero di contatti decisamente basso e che non andava oltre i genitori e poche amiche. Tra queste l’amica Martina con la quale la vittima scambia tre sms proprio nell’orario compatibile alla sua scomparsa del 26 novembre 2010.
Sul tavolo della Procura, ad oggi, e fatta salva la prova regina del Dna, c’è ancora molto poco. Le celle telefoniche, ad esempio, non rappresentano un elemento indiziario forte. Va ricordato, infatti, che il ripetitore posto in prossimità della palestra di Brembate irradia un segnale di chilometri che può tranquillamente aver agganciato il cellulare di Bossetti nella zona di Mapello dove il muratore abita. E del resto l’indagato è uomo abitudinario. Così si racconta nell’interrogatorio di garanzia, così conferma la moglie e madre dei suoi tre figli. In quel novembre 2010, sappiamo che Bossetti lavorava in un cantiere di Palazzago. Da lì per rientrare a Mapello la strada più rapida prevede il passaggio a Brembate. Come del resto sembra solo una traccia (ma non di più) l’aggancio della cella di Chignolo d’Isola (luogo del ritrovamento del cadavere) da parte del telefono del muratore il 6 dicembre 2010, pochi giorni la morte di Yara. Intanto ieri i Ris di Parma hanno iniziato ad analizzare gli automezzi sequestrati a Bossetti. E dalle prime indiscrezione emerge che gli esperti non abbiano trovato tracce organiche evidenti.