Pubblichiamo l’intervento di Luca Di Bartolomei (figlio di Agostino, indimenticato capitano della Roma) pubblicato su Il Fatto Quotidiano di oggi in merito al comunicato stampa della Curva Sud della Roma. Gli ultras giallorossi hanno espresso solidarietà per la morte del tifoso napoletano Ciro Esposito, ma non hanno preso le distanze da Daniele ‘Gastone’ De Santis, il presunto autore della sparatoria avvenuta prima della finale di Coppa Italia tra Fiorentina e Napoli.
E’ difficile commentare un comunicato anonimo, di chi, autoproclamatosi “ultras della Roma” si permette di parlare a nome dell’intera Curva Sud. Considero la Sud un patrimonio storico del calcio italiano per motivi di tifo, di passione e personali. Per questo ritengo profondamente arrogante chi, dietro la comoda maschera dell’anonimato, si prende il diritto di parlare non per sé, ma a nome di decine di migliaia di tifosi, di persone, di romanisti. E trovo anche sbagliato andare dietro a questa velina che, perdonate la mia di arroganza adesso, non credo meritasse nessun risalto. Cosa succederebbe se (nel nostro già “complesso” sistema informativo) nell’era dei social network e della comunicazione orizzontale, le agenzie o i siti si mettessero a dare risalto a comunicati anonimi. E se dietro quella definizione si nascondessero pochissime persone? E’ a loro che vogliamo lasciare la rappresentanza di quel nostro sentimento collettivo che si chiama tifo? Vogliamo lasciare libere queste persone di pronunciare anche per noi parole e contenuti così pericolosi in un momento del genere?
Io non credo che sia giusto rappresentare tutti i tifosi della Curva Sud della Roma come “fratelli” di un presunto assassino. Anzi. Da cittadino mi auguro che forze dell’ordine e magistratura facciano chiarezza; da tifoso, potrei sperare che De Santis si riveli innocente. Questo però non cambia il fatto che io, da romanista, non mi sento suo fratello. L’esemplificazione sillogistica “la Curva afferma che De Santis è un suo fratello; io vado in Curva; De Santis è mio fratello” io, semplicemente, non l’accetto. E trovo ridicolo chi sostiene che siccome trenta, venti, quindici anni fa le cose andavano molto peggio (ed è vero) allora oggi non dovremmo lamentarci per quello che accade: come se tutto sommato ogni tanto il morto attorno agli stadi fosse un piccolo prezzo da pagare. Prima era peggio, ma dobbiamo continuare a migliorare, a spostare l’asticella verso l’alto. E tutto questo pochi giorni dopo aver ascoltato gli appelli alla pace e al rispetto pronunciati da Antonella Leardi, la madre di Ciro Esposito? A me – quando ho sentito le sue parole – sono venute le lacrime agli occhi. Mi sono messo nei panni di chi è genitore, ho pensato a quello che si può provare in un momento del genere. Sono parole sincere, perché quando affronti un dolore così devastante, salta ogni schema razionale.
E’ da li che bisogna ripartire; dal coraggio della madre di Ciro. Iniziamo noi tifosi a far pesare le nostre idee, a mobilitarci di fronte a una Federazione inerme che in questi giorni non riesce a fare altro che impegnarsi in giochi di potere e veti incrociati affinché ai responsabili di una gestione disastrosa si sostituiscano i vice responsabili del medesimo sfacelo. Iniziamo a chiedere che nel calcio si smettano di riciclare le solite facce, persone e logiche che sono stati i protagonisti dei fallimenti degli ultimi anni non solo sotto il profilo dei risultati sportivi. Iniziamo a chiedere che prefetti e questori facciano bene il loro lavoro prima, senza farsi poi promotori di “amichevoli”, iniziative lodevoli ma che sarebbe meglio loro aiutassero a far nascere dal basso. L’anno prossimo voglio esser libero di andare a vedere Roma-Napoli e vorrei poterlo fare con i miei affetti più cari. Ho vissuto tra la Campania e il Lazio e alcune delle persone a me più care tifano Napoli: io ho il diritto di vedere serenamente con loro quella partita allo stadio. Un giorno, soprattutto, vorrei poterci portare anche mio figlio. Non si può più rinunciare all’urgenza di cambiare questa realtà. Non vedo l’ora che succeda, ma ripeto: il movimento deve partire dal basso. Da chi tifa e vive il calcio e lo stadio per lo spettacolo meraviglioso che sono (che almeno possono essere).
di Luca Di Bartolomei
da Il Fatto Quotidiano del 3 luglio 2014